Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
LA PADRINA
La storia dell’interprete per la polizia che si reinventa boss della droga travestita da araba è di quelle a serio rischio stereotipo etnico, ma in Francia osano spesso attraverso la commedia (tipo Non sposate le mie figlie! o Due sotto il burqa). Poi ovviamente tutto gira intorno a Isabelle Huppert: il che significa che il carisma e l’autorevolezza della star sono di per sé una “promessa” di serietà politica anche quando si ride (risultato culturale interessante). Ma si ride? Insomma. La vena malinconica pian piano prevale (saggiamente), e se ci fosse stato un autore più ribaldo, chessò come Pierre Salvadori, magari si godeva di più.
ALLONS ENFANTS
Allons enfants di Giovanni Aloi è un film osservazionale e iperteso, come se idealmente D’Anolfi e Parenti si fossero messi a girare in chiave Bigelow. Progetto molto forte, anche se i pattugliamenti, le preoccupazioni, il batticuore e l’implosione continua (almeno fino al finale) non sempre appaiono potenti quanto Aloi pensa che siano. Molto più appassionante analizzarlo formalmente: forme di regia, di costruzione dello spazio, di rappresentazione urbana, di ricognizione del dettaglio sono decisamente maiuscole. E lo spettatore-critico abbandona la storia e si mette ad analizzare in sala.
BAC NORD
Terzo film francese della giornata e anti-film rispetto a quello di Aloi. Qui la sorveglianza e il pattugliamento diventano epici, action, e il gruppo di poliziotti non si troverebbero male nel cinema di Fuqua (o almeno del Fuqua ancora brillante di qualche tempo fa). Jimenez è uno che sa il fatto suo, e la sua Marsiglia brutale, blindata e carpenteriana aspetta solo di esplodere, come regolarmente fa nella seconda parte del racconto. BAC Nord in Francia ha rispolverato dibattiti d’antan: accusato di essere fascistoide (sbirri duri ma buoni vs. spacciatori magrebini armati fino ai denti), ha spopolato al botteghino. C’è già aria di Zemmour?
VENOM: LA FURIA DI CARNAGE
“Meglio il primo”: gli spettatori liquidano la questione e circa 15 minuti dopo aver visto il sequel stanno perdendone i pezzi nella memoria. Per metà film ti chiedi come sia possibile vedere un blockbuster Marvel (sia pure Sony) dove tutto ruota intorno a un tizio che sente una voce in testa e ci litiga. Poi c’è una sfida tra simbionti in cui l’unica cosa divertente è vedere che facce fa Woody Harrelson mentre si autocita in Natural Born Killers. Poi alla fine, vedendo che è durato solo novanta minuti, che non hanno poi speso tanto, che la sua rancida ironia regressiva ti ha sfiorato, che il sempre più intontito Tom Hardy lo ha pure scritto, che – insomma – la cosa in sé è veramente svaccata e guadagna pure un sacco di soldi, ti viene da simpatizzare e preferirlo a micidiali, pompose stupidaggini block-disneyer come Black Widow.
LOVELY BOY
Nascita e conferma di un autore? Tematicamente ci siamo: il primo Ultras era una cocente descrizione dall’interno dei tifosi napoletani (con destino fin troppo segnato, ma tant’è), questo parla della comunità trap con simili intenzioni antropo-narrative. Purtroppo interviene uno strano moralismo, un’assenza di quel rispetto che là paradossalmente (dove si fa di ben peggio) si annusava, con derive caricaturali. La parabola rapstar-tossicodipendenza (più comunità di recupero spartana) viene in parte riscattata da controllo formale e ottimi attori (il cinema italiano è strapieno di caratteristi che mezzo mondo si sogna). Comunque Lettieri è un talento, che per ora scodella film su Netflix e Sky. Nuocerà? O è il futuro della nuova autorialità streaming nazionale? Chi vivrà vedrà.