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Tag: Shawn Levy

ICONE E MONDI ALTERNATIVI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. 

DEADPOOL & WOLVERINE

Deadpool & Wolverine continua a sbancare al botteghino nel secondo fine  settimana

No, non è la prima volta che il MCU dimostra di aspirare a una fan base collocata all’altezza dell’enciclopedia pop di ragazzi delle scuole medie (o di adulti che ne sono nostalgici). Ma, scurrilità scatologiche a parte (mai visto un umorismo più reazionario di quello di Deadpool), l’idea di rendere testuale ogni discorso intorno alla Disney e farne un enorme giochino meta-narrativo è miserrima. Anche perché sfruttata al midollo. Il multiverso è ormai un semplice cubo che serve a recuperare qualsiasi personaggio senza nessuna regola interessante e, rispetto all’uso creativo che ne fanno per esempio gli Spider-Man animati della Sony, appare dilettantesco. Il vero discorso industriale da fare è un altro: si può notare che, dentro le IP (i supereroi Marvel/Disney), si esce dalla crisi rilanciando le poche IP che funzionano davvero. Ovvero le IP al loro interno si comportano internamente proprio come l’intera industria dell’audiovisivo quando cerca di sfruttare le IP per sopravvivere. Per il resto tra un film di due ore e un evento del Comicon ormai non c’è più una grande differenza.

DARK MATTER

Dark Matter, la serie sci-fi con Jennifer Connelly | AV Magazine

Funziona meglio il multiverso della serie tratta dal romanzo di Blake Crouch (anche ideatore). In questo caso si parla di un fisico che costruisce una macchina in grado di generare un corridoio tra mondi alternativi, e che cede alla hybris finendo col generare troppi sé stessi. Sebbene lo stile sia talmente pigro e quadrato da candidarsi ad anti-complex TV, episodio dopo episodio questa fantascienza classica conquista proprio per la sua estraneità alle mode. Molto si deve a una coppia (Joel Edgerton e Jennifer Connelly) in grado di umanizzare personaggi poco più che legnosi, ma – nel contesto della produzione streaming contemporanea, totalmente priva di bussola – il tutto trova un dignitoso posto al sole.

REALITY

I rapporti tra file audio, podcast, registrazioni, documenti sonori e cinema si fanno più stretti. E l’intreccio con il sotto-genere dell’interrogatorio (da Una pura formalità al recente Upon Entry) si staglia sullo sfondo di questo esperimento di Tina Satter, i cui dialoghi in unità di tempo, luogo e azione sono fedelmente quelli di un’indagine reale. La domanda di base (il leak è giustificato se pensi che il tuo Paese sia sotto attacco?) si perde un po’ nel meccanismo “gatto e topo” tra agenti FBI e protagonista sospettata, ma la teatralizzazione dei rapporti di potere nell’America trumpiana riesce perfettamente (a cominciare dalla stanza spoglia e disabitata in cui si svolge il colloquio). Somiglia al Soderbergh recente senza averne però la forza politica. Performance sorprendente di Sydney Sweeney.

IL CASO YARA

Chi scrive ammette un impasse. Come si recensisce una docu-serie? Esiste un’estetica del prodotto? Ha senso cercarla? In sua assenza, pare che ci siano solo due strade: quella di analizzarne i contenuti giornalistico/investigativi o quella di giudicare la caratura morale dell’iniziativa. La seconda va scartata a priori: se avete visto anche solo 2-3 docu-serie sapete che gli autori passano con un carrarmato sulla sensibilità di chiunque, pena il rischio di perdere spettatori. Sulla prima, fortunato chi ha le competenze. Resta, quindi, da parte nostra giusto qualche annotazione narrativa e cioè: se il pur discutibile Sanpa aveva dalla sua la capacità di evocare il simbolo psicanalitico di una nazione (il patriarca e i figli metaforici da salvare), qui non si intravede una polarità così intensa, e si rimane confinati alla solita, italica provincia mostruosa. Oltre ogni ragionevole interesse.

UN PIEDIPIATTI A BEVERLY HILLS – AXEL F

I danni della nostalgia pop a tavolino. Quello che, al di là del titolo italiano, chiamiamo semplicemente Beverly Hills Cop 4, è l’ennesimo tentativo di Netflix di blandire gli abbonati over 50 con personaggi e storie anni Ottanta. Eddie Murphy, che con la sua casa di produzione sta gestendo da tempo la sua icona over-60 (in un triste mix di irriverenza giovanile fuori tempo massimo e stanchezza anagrafica), cerca di fare più chiasso possibile. Tornano anche gli attori di quarant’anni fa, in una parata del rimpianto che non ha la necessaria dignità per pensarsi come orgogliosamente anziana e post(u)moderna. Certo che con lo streaming-cinema a volte il concetto di usa-e-getta assume significati cosmici.

VIAGGI NEI MONDI E VIAGGI NEL TEMPO

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

IL MALE NON ESISTE

Il male non esiste: trailer, trama, cast e anticipazioni film Orso d'Oro

Il cinema iraniano ha reinventato di sana pianta anche il cinema a episodi (ricordate Ten di Kiarostami, per dirne uno?), offrendo a questa struttura la possibilità di lavorare come mosaico e non come addizione. Nel film di Mohammad Rasoulof, che ha vinto l’Orso d’oro per il miglior film al Festival di Berlino 2020, gli episodi sono uniti dal tema della pena di morte. Per le sue posizioni e per il contenuto il regista ne ha passate – e ne sta passando – delle brutte in patria (tanto per ricordarci quanti autori vivono tuttora sotto regimi censori, vedi anche poco sotto). Il male non esiste peraltro cerca di inserire l’orrore dell’esecuzione capitale (che Farhadi nell’ultimo film ci ricordava poter essere riscattata da denaro) in un contesto di gente comune: i boia sono persone come noi, che a volte svolgono il loro lavoro con metodica malinconia e in altri rimangono traumatizzati o vogliono fuggire. Meno convincente quando il racconto diventa troppo costruito, il film capitalizza quello che è ormai uno stile mutevole, transitato da Kiarostami a Panahi, da Farhadi alla nuova generazione.

PARIGI, TUTTO IN UNA NOTTE

Parigi, tutto in una notte: trailer del film con Valeria Bruni Tedeschi |  Lega Nerd

Per pura coincidenza distributiva escono due film francesi che fanno della compressione temporale e della tensione cronologica l’architrave del racconto. Sono questo, di Catherine Corsini, e Full Time, di cui parleremo la prossima volta. L’idea di La fracture (titolo originale) è che in un pronto soccorso, per alcune ore dopo il tramonto, si assiepino i reduci (feriti) di una manifestazione di gilet gialli, altri normali pazienti bisognosi, e persino qualcuno con disordini mentali. Infermieri sottopagati, medici in prima linea, gas lacrimogeni che si vedono in lontananza (nemmeno troppo) e corpi rotti o vulnerati: Corsini non sembra interessata a un approccio “carpenteriano”, l’assedio è stemperato da sottili ironie e da un personaggio (interpretato da Valeria Bruni Tedeschi) quasi screwball. Attenta a non condannare nessuno – più che altro a sottolineare le magagne del welfare allo stremo – la regista porta a casa un discreto risultato, nulla più. Cinema medio-autoriale francese in purezza.

PETROV’S FLU

Petrov's Flu, il trailer italiano del film di Kirill Serebrennikov -  MYmovies.it

Si può vedere sulla meritoria piattaforma IWonderfull questo alcolico e stralunato film randagio di Kirill Serebrennikov, dissidente russo nel mirino di Putin e degli zelanti funzionari del despota, più volte in carcere e spesso tenuto lontano dai tappeti rossi dei festival dove i suoi film vengono proiettati. Mettendo le mani dentro le viscere del contemporaneo. Serebrennikov gira un piccolo capolavoro maledetto, dove il flusso di oggettività e soggettività scorre senza soluzione di continuità. Il motore narrativo è un’influenza di massa che altera le sensazioni e la capacità di essere vigili a se stessi: ogni stereotipo russo (dall’alcool al sentimentalismo, dalla musica alla violenza) viene, durante il fluviale racconto, decostruito e riconfermato. Attraverso la lente dell’irrazionalità e di un “realismo visionario” che riesce a far convivere sarcasmo e tragedia, Serebrennikov si afferma come maiuscolo narratore. Inutile dire che la visione di questo film oggi assume significati ulteriori.

ACQUE PROFONDE

Deep Water: primo trailer del thriller erotico con Ben Affleck

Adrian Lyne, ottantunenne, torna dopo vent’anni dietro la macchina da presa per Prime Video e un sacco di cinefili si sbracciano nel cercare analogie con il cinema thriller anni Ottanta e con l’estasi dell’immagine patinata che l’autore contribuì a fondare in quel decennio. Peccato nessuno si sia accorto che Deep Water sembra un remake spiaccicato dell’ultimo, pessimo Lyne di inizio anni Duemila – Unfaithful – con l’unica differenza che è la moglie, e non l’amante, a essere giovane. Tratto da un bellissimo romanzo di Patricia Highsmith, qui adattato senza capirne le sottigliezze, si tratta di quello che avremmo definito straight-to-video ma con attori importanti (il che sembra una definizione calzante per un certo cinema in streaming di questi anni). Fiaccato da un montaggio impresentabile e da una regia poco lucida (basti vedere la scena dell’inseguimento in bici, tra go-pro e pessimi stunt, per capire), il film parla di sesso senza farne vedere quasi mai – Lyne era più generoso un tempo – costruendo un ambiguo Ben Affleck, che però non ha l’ambiguità nel suo vocabolario recitativo.

THE ADAM PROJECT

The Adam Project: la recensione del nuovo film con Ryan Reynolds - NerdPool

Un tempo si parlava di “vulgar auterism” per gente come Michael Bay e Justin Lin (fracassoni ma riconoscibili). Anche Shawn Levy è un tipo riconoscibile: ha una fiducia incrollabile nello spettacolo per famiglie, gestisce budget alti ma non infiniti, ama faccette innocue come Ryan Reynolds, non disdegna bimbi in scena, adora i dialoghi con battutine pronunciate dai protagonisti nei momenti in cui rischiano la vita. Qui di mezzo c’è un viaggio nel tempo e una curiosa coppia formata da un uomo e dal se stesso bambino, che avrebbe in altre mani offerto materia struggente e qui viene incenerita da un flusso di action e di buddy-comedy da stancare anche il più prestante fan del popcorn movie. Poi a fare i moralisti si rischia di non capire come funzionano gli algoritmi di Netflix e i trilioni di ore di visione che Adam Project raggiungerà. Insomma è un tipico film pronto per analisi accademiche di produzione e consumo. (A un certo punto salta fuori Mark Ruffalo, al solito spettinato e stropicciato, e tutto prende una piega più nobile. Ma è un attimo).