Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO
Certo che il sistema dei premi ai festival è veramente mercuriale e imprevedibile. Consegnare a Cannes una Palma per miglior attrice alla pur simpatica e sottile Renate Reinsve per questo dramedy norvegese lascia a dir poco sorpresi. Joachim Trier è un autore singolare, che mi ricorda il pilota di Formula Uno Coulthard, capace di essere incredibilmente rapido in alcuni momenti e poi rovinare tutto con scelte discutibili e ingenue. Tutta la filmografia di Trier è fatta così (anche il migliore dei suoi titoli, Thelma del 2017). In questo caso, dopo una prima ora brillante ed esilarante su una trentenne incasinata e incompiuta, cugina alla lontana da Fleabag, con osservazioni acutissime sulla cultura contemporanea, la storia va ad addormentarsi in un melodramma da malattia poco riuscito e soprattutto affatto risolto.
ULTIMA NOTTE A SOHO
Film cinefilo per eccellenza di queste settimane, il vorticoso vintage horror di Edgar Wright conferma qualche miopia del nostro sguardo su di lui. Come se rifuggisse il “grande cinema” e volesse sgonfiare le costruzioni da lui stesso architettate attraverso il primato del divertissement, Wright disarma gli analisti. In verità la sua è una pratica cinematografica coerentissima, dove di volta in volta si ricorre alla parodia o ai generi per nascondere operazioni sottilissime. Come questa, dove l’amore per il passato, con tutto il concerto di citazioni viventi et similia, viene messo al rogo (letteralmente): un conto sono i prodotti culturali da rievocare, un conto è la storia sociale (da non falsificare). Gli omaggi ad Argento, Fulci, Lynch, Russell sono i più impliciti (e potenti) e il film sembra una versione più pop e meno morbosa di Neon Demon.
NON CADRÀ PIÙ LA NEVE
Si trova sulla piattaforma IWonderfull il nuovo film di Małgorzata Szumowska e Michał Englert: è la storia di Zenia, uomo misterioso proveniente dalle radiazioni di Chernobyl che fa il massaggiatore-ipnotista per persone alto-borghesi in Polonia. Annoiate da tutto e apatiche, vedono nell’arrivo dell’uomo una novità salvifica. E lui si trasforma in un guru dentro un meccanismo a metà tra Teorema di Pasolini, il realismo magico del cinema est-europeo e Edward mani di forbice. La cosa migliore, come in altre prove di Szumowska, è lo humour fulminante, qui accostato a una strana anempatia “calda” nei confronti di un protagonista ermetico che – pur dominando la materia corporea con le mani – sembra la vera vittima, l’outsider destinato all’invisibilità. Peccato per i vezzi del “cinema da festival” (forti simbolismi, ralenti, oggettive irreali, movimenti di macchina “significanti” ecc).
MOMENTS LIKE THIS NEVER LAST
Uscito su MUBI a novembre, il documentario di Cheryl Dunn è dedicato all’artista newyorkese Dash Snow. Probabilmente non molto noto a queste latitudini, Dash – morto giovane – è stato artista, fotografo, graffitaro, creatore di contenuti grafici e pittorici, provocatore e sperimentatore urbano. New York è stato il suo terreno di conquista e di espressione, lui che veniva da un’agiata famiglia borghese – ma le mele notoriamente possono cadere molto lontane dall’albero. Il doc è un po’ bifronte: da una parte affascina per come evoca tutto il contesto di un underground per una volta non “Seventies” ma recente, legato allo spirito isterico del post-11 settembre. Dall’altra non sempre coglie l’occasione per un affresco completo e possente, depotenziando found footage e altri materiali in nome del dramma personale. In ogni caso vale un giro nel rollercoaster di Dash.
3/19
Come altri autori, anzi inventori, del nuovo cinema italiano degli anni Ottanta/Novanta, Silvio Soldini è diventato un autore apolide. L’habitat di pubblico metropolitano e critica desiderosa di novità nazionali che lo seguiva si è sbriciolato. E in quest’epoca di distribuzione frenetica, un film come questo – dominato dalla sensibilità di una delle nostre attrici più intense, Kasja Smutniak – rischia di diventare carta da parati. Il tema della lenta erosione della solidarietà sociale ai danni dell’ambiente altoborghese di provenienza è un topos da Europa ’51 in poi. Oggi suona risaputo, come del resto la Milano metallica pur rappresentata con raffinatezza. Funziona di più come mélo trattenuto, sebbene la morte solitaria del povero diavolo (big bang psicologico simile a Tre piani) avrebbe meritato più “politica”.
THE VELVET UNDERGROUND
L’amore per la storia del rock di Todd Haynes è ben nota e ha ispirato almeno due gran bei film tra i suoi, Velvet Goldmine e Io non sono qui (Glam e Dylan, e il rischio di fare pasticci era altissimo). Questo è un documentario che si trova su Apple TV+, dopo una recente e fugacissima apparizione in sala. Haynes non è certo tipo da teste parlanti, interviste con luce smarmellata e pedagogia d’accatto. Infatti cerca l’impresa più impervia: fare un doc che somiglia alla musica dei Velvet, stridente e profondo, fastidioso e geniale. Da una parte ci sono split screen, found footage, documenti rari, testimonianze e voci over talvolta stranianti; dall’altra una ricostruzione meticolosa del mito (compresi Warhol e Nico). Evviva, anche se non la consiglio come visione da domenica pomeriggio sul divano. Massimo rispetto. Peccato rischi di annegare nell’oceano streaming.