La cosa in assoluto più eccitante nel rivedere in sala Apocalypse Now (la versione “final cut” del quarantennale, predisposta da Francis Ford Coppola e distribuita da Cineteca di Bologna) è il suono. Chi ha seguito le varie vicende del film sa bene quanto questo aspetto sia importante, e quanto l’impressione suscitata dal capolavoro coppoliano fin dal 1979 sia frutto in buona parte del lavoro di Walter Murch, il più grande sound designer della storia del cinema. Eppure, forse sovrastati dal mito del racconto di Conrad, Milius e Coppola, entrando in sala non ci eravamo ricordati proprio di questo aspetto, che invece scuote, colpisce, intriga, spaventa, realizza ciò che sarebbe principalmente storicizzato. Ascoltare in sala Apocalypse Now – Final Cut è riprovare un’esperienza live, cioè una ri-vivificazione del qui e ora della messa in scena e del montaggio sonoro. Probabilmente è uno dei pochi casi in cui si può (fuor di retorica) affermare che un capolavoro non è la stessa cosa visto fuori da una sala in grado di immergere lo spettatore nella visione – in tal caso il concerto sonoro di Murch, della foresta e della guerra.
Detto questo, fa abbastanza impressione ascoltare Coppola, nella breve clip che precede il film, raccontare di come abbia voluto approntare una terza edizione di Apocalypse Now dopo quella tagliata all’epoca, e dopo quella forse troppo lunga di Redux (per chi scrive un serio errore di valutazione da parte del regista). Coppola – volenti o nolenti – si considera a tutti gli effetti proprietario della sua opera d’arte e spiega di come abbia scelto personalmente di rimontare, aggiungere e tagliare secondo il suo gusto del momento. Già da un po’ parliamo di “opera infinita” con tutti i cut che i vari Blade Runner, L’esorcista o Guerre stellari hanno accumulato negli anni. Finché questo un po’ ambiguo gioco con i propri testi, come se non appartenessero alla collettività, ci riporta in sala, ben venga. Ma restiamo vigili sul senso delle operazioni.