Comincia oggi una nuova rubrica (o categoria, più correttamente) del mio blog, ovvero l’analisi di singole sequenze di film (vecchi e nuovi, importanti o minori, di ogni parte del mondo) che possiedono motivi di interesse critico, accademico o cinefilo. Per il puro gusto di parlarne.
Cominciamo con Brian di Nazareth (1979) di Terry Jones, ovvero frutto collettivo degli indimenticati Monty Python. Il film per fortuna è oggi visibile su Netflix, e – anche se la copia porta i segni del tempo – può efficacemente essere abbinato alla completa disponibilità degli episodi di Flying Circus. Nella formidabile vicenda di Brian, “vita parallela” di Gesù e controparte sfigata del Divino, ne accadono di tutti i colori. A un certo punto, unitosi a un gruppo di ebrei rivoluzionari che vogliono rovesciare il dominio romano, Brian deve dimostrare ai nuovi compagni il suo coraggio scrivendo (stile graffiti) su un muro “Romani, andate a casa!”.
Totalmente inadeguato all’impresa, Brian pensa di approfittare delle tenebre e, credendosi protetto dal buio, comincia a dipingere. Ma in secondo piano, vediamo che gli si stanno avvicinando i soldati imperiali di cui lui non si accorge. Lo spettatore pregusta il momento della scoperta e immagina la magra figura di Brian. Qui, però, interviene la genialità dei Monty Python.
Il milite romano, invece che arrestarlo, lo rimprovera per gli errori di latino commessi nella scritta. Gli tira le orecchie, lo tratta come uno scolaretto somaro, e poi gli impone di scrivere la frase corretta decine di volte su tutto il palazzo per l’intera notte. Un capovolgimento strepitoso, che duplica e spiazza le attese spettatoriali, costruisce in forma di gag un ragionamento di logica rovesciata, mostra all’improvviso che sia il rivoluzionario sia l’occupante della Galilea altro non sono che due stupidi.
L’intero film è un manuale di ironia scorretta e sorprendente, che ha conquistato giustamente uno statuto di culto. E anche rivisto oggi continua ad essere consigliabile per chi scrive comicità: dalla parodia al paradosso, dalla satira politica alla caricatura, dallo slapstick al demenziale, dall’umorismo avant-garde al carnevalesco… non manca davvero nulla, ma senza darlo troppo a vedere.