Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
QUEL GIORNO TU SARAI
![Quel giorno tu sarai: la recensione del film di Kornél Mundruczó](https://hotcorn-cdn.s3.amazonaws.com/wp-content/uploads/sites/2/2022/01/24113154/quel-giorno-tu-sarai-intervista-korne%CC%81l-mundruczo%CC%81.jpeg)
Uscito nel Giorno della Memoria ma per fortuna in circolazione anche nelle settimane successive, il nuovo film di Kornél Mundruczó lo conferma e lo rafforza come autore estremamente importante del cinema contemporaneo. Strutturato in tre episodi girati in altrettanti piani-sequenza (a volte ottenuti con piccoli trucchi, ma non è ciò che importa), Quel giorno tu sarai possiede quel che si deve al ricordo e all’analisi cinematografica della Shoah, cioè un progetto poetico e narrativo degno di questo nome – altrimenti meglio astenersi, come avrebbe dovuto fare una buona metà dei titoli prodotti sul dramma degli ebrei negli utlimi vent’anni. Mundruczó, come sempre affiancato dalla sceneggiatrice, drammaturga e scrittrice Kata Weber (sorta di co-autrice dei suoi migliori film), parte dal ritrovamento di una bambina nei campi di sterminio da parte di alcuni soldati polacchi (in una prima parte straziante, dove i militari affranti scoprono ciocche di capelli incastrate nei muri fetidi di uno stanzone), prosegue con la ragazzina divenuta anziana e fragile, e si conclude con il nipotino che assaggia a scuola, sulla sua pelle, l’antisemitismo dei compagni tedeschi. Nulla viene esposto come una tesi: Mundruczó esplora lo spazio e la parola con gesto teatrale fuso nel cinematografico, e il fil rouge di corpo e identità rimane teso dall’inizio alla fine, spesso senza alcun tipo di consolazione. Un filo di speranza, alla fine. Ma con brividi che attraversano noi (e l’Europa intera).
STRINGIMI FORTE
![Stringimi forte, di Mathieu Amalric. La recensione](https://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/2022/02/stringimiforte.jpg)
Ottavo film da regista per Mathieu Amalric – quindi una carriera d’autore che non possiamo più considerare ancillare rispetto a quella di attore – e intrigante riflessione sulla rappresentazione del lutto. Non si può raccontare molto, di questa storia con alcune scoperte che – pur non avendo il carattere di colpo di scena – modellano la nostra comprensione delle azioni della protagonista. Di fatto, il viaggio fisico e mentale nel dolore inesprimibile di una donna, interpretata con la consueta sottigliezza e intensità dalla poliglotta Vicky Kreips, è anche una sfida cinematografica. La storia viene affrontata con alcuni strumenti precisi, tra cui la volontaria confusione tra soggettivo e oggettivo, la navigazione a sfioro di un potenziale coté fantastico, la frammentazione del tempo interiore, la valorizzazione di alcuni luoghi e paesaggi, la moltiplicazione delle funzioni musicali in sede di “narrazione sonora” (il pianoforte in particolare). Stringimi forte è un piccolo, degnissimo film, che sconta forse il calo di interesse della seconda parte, quando le carte vengono scoperte e tutta quella fertile ambiguità si incanala in una melanconica ballata sulla perdita e le sue conseguenze.
AND JUST LIKE THAT…
![Avevamo bisogno di And just like that…?](https://i2.wp.com/www.rivistastudio.com/wp-content/uploads/2021/12/and-just-like-that.jpg?fit=1200%2C675&ssl=1)
Nessuno, a partire dal sottoscritto, si aspettava gran che dal ritorno fuori tempo massimo delle amiche di Sex and the City. Ma Michael Patrick King, e i suoi collaboratori (e HBO Max), sono autori e professionisti che sanno il fatto loro e quindi hanno astutamente immaginato la serie-sequel come un continuo processo di adattamento delle ex ragazze ora ultracinquantenni al nuovo mondo della cultura newyorkese accademica, intersezionale, fluida, categoriale. Guardando con ironia a questa negoziazione col tempo che passa, con lo spettro della morte, con le generazioni più giovani, con i media digitali, con identità sessuali che crollano e rinascono, con parole d’ordine ed equilibri sociali sempre più delicati, la commedia romantica si rifonda nella quality trovando un senso e una credibilità. La dimensione di classe, la nuova consapevolezza nei confronti del consumo fashion e del passato della moda (oltre che dell’età), il capitalismo colto di Manhattan, la disponibilità di soldi e appartamenti, l’appartenenza alla buona borghesia caritatevole, la cura maniacale dell’aspetto continuano ad essere al tempo stesso esaltati con sfacciata assenza di sensi di colpa e derisi dall’interno (e con loro il post-femminismo consumista del vecchio Sex and the City). Con momenti di scrittura quasi cukoriana, e altri più triviali, And Just Like That… non deve piacere a tutti, per carità, ma è quanto di più brillante ci sia nel contesto della comedy seriale oggi, anche grazie a un ensemble di attrici smaglianti e ironiche, trainate da una superba Cynthia Nixon.
YELLOWJACKETS
![Ecco come finisce Yellowjackets: trama](https://www.tvserial.it/wp-content/uploads/2021/11/yellowjackets-incidente-1996-serie-tv.jpeg)
Ormai tutto è meta-narrativo nella serialità frantumata contemporanea. Nella seria sviluppata per Showtime da Ashley Lyle e Bart Nickerson la base di partenza dell’incidente aereo (una specie di ossessione per le serie di oggi), poggia su alcune basi piuttosto evidenti. La prima è Lost, di cui sfrutta sia il meccanismo di flashback-flashforward (invertendo però il ruolo del tempo presente) sia l’incertezza narrativa todoroviana tra razionale e fantastico. In più, però, c’è la cultura cinematografica, che permette di accumulare pubblici: i nostalgici degli anni Novanta ritrovano icone come Juliette Lewis e Christina Ricci (stavolta nei panni delle adulte ultraquarantenni), gli altri si godono il teen survival in mezzo al bosco. Insomma, un gigantesco frullatore di schegge pop paragonabile a un buon robot da cucina. E alla fine Yellowjackets si presta a una visione distratta, in stile pop corn season one, non spiacevole – anche grazie a un volto forse meno noto ai più, Melanie Lynskey, ma già impagabile in Togetherness, Mrs. America e recentemente Don’t Look Up. Concludiamo con un commento condito di spoiler. Capisco che si guardi già alle prossime stagioni, e proprio da Lost in poi siamo avvezzi a ogni tipo di frustrazione rispetto a risposte che non arrivano. Ma cominciare il primo episodio di una serie con immagini che non verranno nemmeno lontanamente spiegate in tutta la stagione mi pare un cicinino arrogante.