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Tag: Benoit Jacquot

MASCHERE, CLONI, FANTASIE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. 

MICKEY 17

Aleggiava un’aria di flop intorno al nuovo Bong post-Parasite e, dopo molti rimandi, così è stato, anche se non catastrofico. Bisogna resistere alle opposte tentazioni di farne un gioiello sovversivo per motivi di politique des auteurs o al contrario di lapidarlo con una sassaiola di risatine. Il talento del coreano è tale che ci sono più idee iconografiche e narrative qui che in tutta la filmografia di Walter Salles, tuttavia non si può negare che il progetto cinematografico sia a dir poco appannato, la satira snervante, i temi del doppio, del capitalismo e del futuro “marxiano” ampiamente e meglio esplorati da Scott, Sonnenfeld, Verhoeven, per tacer di Kubrick. Peccato anche per gli attori fuori controllo, in primis Ruffalo con accenti vagamente (e inopinatamente) trumpiani. Lo rivaluteremo? Chissà.

LA CITTÀ PROIBITA

Con un budget sontuoso e un progetto nitido, Mainetti si conferma cineasta con i controfiocchi. Provate a mettere in mano il kung fu a qualche altro collega italiano pulp (non facciamo nomi) e avrete una pecionata da pacche sulle spalle per il divertimento de noantri. Mainetti fa il contrario del solito: parte da un contesto teverino e coatto e dimostra che può diventare epico. Fa con i generi non autoctoni ciò che Sollima fa con il polar. I grossi problemi di scrittura (la benzina nella motivazione dei personaggi è svelata solo alla fine, depotenziando il lato revenge; la mamma interpretata da Ferilli si perde per un terzo di film; le sotto-trame annacquano tutto) sono un fardello mica da poco per poter applaudire in piedi. Applaudiamo seduti, specialmente i combattimenti (e la protagonista Yaxi Liu).

DREAMS

Terzo atto di una trilogia (di cui vedremo nei prossimi mesi anche gli altri capitoli), nonché Orso d’Oro a Berlino 2025, il film del norvegese Dag Johan Haugerud ha nella sottigliezza e nell’impianto narrativo le sue qualità migliori. Come se Rohmer si fosse risvegliato in nord Europa e avesse cercato di osservarne i mutati costumi sociali e sessuali, Haugerud attribuisce la voce narrante a una teen ager profonda ma inaffidabile (in quanto innamorata: nessun innamorato riesce ad essere lucido). Intorno ci sono tre donne: la mamma malinconica, la nonna dal passato libertario, l’insegnante idealizzata. Si misura tutto sul corpo e la sua aisthesis ma ne vediamo solo delle parti, mai intime, coperte da abiti che riparano dal freddo intenso. Si parla incessantemente. E uno psicanalista alla fine dice: non è successo nulla di originale, è solo amore. Un grande racconto su quel quasi niente che ci cambia le vite da giovani.

A DIFFERENT MAN

A Different Man, la recensione: un'indagine profonda sulla natura umana -  Thinkmovies

Mentre si farnetica sul “marchio A24” perché va di moda tirare contro i presunti fighetti, noi qui a bottega continuiamo a guardare i film e gli autori. E Aaron Schimberg, al netto di qualche arroganza, si conferma dopo Chained for Life del 2019 come un regista dalle idee chiare. Spiccano le sinuose influenze (Lynch, of course, ma anche Polanski), le assonanze (con certe isterie di Beau ha paura) ma quel che conta è il tono sospeso tra commedia, b-movie sci fi e apologo sulla diversità. Quando, nella seconda parte, le maschere si invertono e il film commenta se stesso e la nostra misurazione del deforme, si dicono cose molto più serie di quanto sembra. Colonna sonora ritagliata e coltissima dell’italiano Umberto Smerilli.

L’ORTO AMERICANO

Al 55esimo film, Pupi Avati incontra il bianco e nero. E lo usa per una storia tra oscurità provinciale e orrore nebbioso, ambientata nel dopoguerra tra America ed Emilia. Per chi ama l’Avati “gotico contadino” qui ci sono ulteriori evoluzioni. Tra gli echi di Tourneur, i raccapricci anatomici, i riferimenti a Wiene, e le finestre che non ridono più (ma fanno lo stesso paura), il racconto diventa via via sempre più cupo e rapinoso. Certo, tutto passa attraverso un fulmine d’amore, e anche questo conta, nell’universo degli affetti avatiani. Alla fine, grazie alla riuscita ritrattistica antropologica del Po e alle ombre che sussurrano nel paranormale, il vero modello si staglia ben preciso: Edgar Allan Poe.

IL CASO BELLE STEINER

Tratto da un Simenon già portato sullo schermo in passato grazie a Molinaro, un giallo dei non detti su cui gravano storie extra-set che è difficile scacciare dalla mente durante la visione (Jacquot e le accuse di stupro da parte di più attrici, in un #metoo francese che mette i brividi per le violenze scoperchiate). Proprio per questo, il protagonista reticente, irritante e apparentemente mite appare insopportabilmente colpevole, anche se il film si guarda bene dall’offrire sponde facili e gioca (un po’ manipolatorio) sull’ambiguità di fondo. Un cinema del trapassato remoto, che ha l’aria di maneggiare questioni terribili per le quali si scopre inadeguato.

THE BREAKING ICE

Dal Certain Regard di Cannes, il nuovo lavoro di Anthony Chen ruota intorno a un ménage a trois abbastanza tradizionale, arricchito da un contesto paesaggistico anomalo, neve e ghiacci sul confine tra Cina e Corea del Nord. Chen è il tipo di regista che tende a sottolineare il più possibile proprio mentre dà l’impressione di fare il contrario, ovvero sfiorare sentimenti delicati e impalpabili. Una volta fatti i conti con questa apparente contraddizione, il piacere della visione si intensifica e la pur ovvia oscillazione tra i palpiti bollenti dei cuori e lo scenario raffreddato seduce e qua e là commuove.

IMMAGINI GLOBALI DALLA TERRA ALLA LUNA

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

APOLLO 10 1/2

Apollo 10 1/2: A Space Age Childhood - La recensione

Di nuovo alle prese con l’animazione al rotoscopio, l’impagabile Richard Linklater (che ancora gode di uno “scalino critico” più in basso di quel che merita) offre uno strepitoso catalogo di gioventù che si intreccia con la fantasia adolescenziale di un ragazzo che immagina di andare sulla Luna. L’intreccio sorprendente tra ucronia e nostalgia offre un impatto melanconico e umoristico di rara ispirazione, ma soprattutto la prima ora – dove lo srotolamento dei ricordi, degli oggetti, dei materiali mnestici diventa torrenziale – è grande cinema a tutti i livelli.

GLI AMORI DI SUZANNA ANDLER

Gli amori di Suzanna Andler - Film (2021) - MYmovies.it

Sul nuovo numero di Film TV (numero 16, 2022), l’amico Pietro Bianchi spiega dettagliatamente perché Benoit Jacquot è un signor cineasta. Letto tutto l’articolo, devo dargli ragione. Eppure ho fatto una enorme fatica a scalare questa montagna, pièce in unità di luogo tratta da uno scritto poi in parte ripudiato di Marguerite Duras. I tormenti, più che gli amori, di Suzanna sono tutti didascalici e i “récadrage” della messa in scena ovvii e noiosissimi, e il gioco delle parti – con sorprese – non è sorprendente. Abbiamo rimpianto La voce umana di Almodóvar.

C’MON C’MON

C'mon C'mon - Film (2021) - MYmovies.it

Qui c’è un bel problema di discorsi critico-estetici. Ovvero: questo è chiaramente un film hipster, modaiolo, furbastro, col bianco e nero fighetto, ecc ecc. Ma siamo certi che sia il giusto punto di vista? Quando diciamo che ormai il cinema “indie” è un genere, perché poi non lo giudichiamo con il metro del genere? Se nei film action ci sono gli inseguimenti e gli scontri, nel cinema “indie” c’è il bianco e nero, c’è Joaquin Phoenix, c’è la meta-riflessione sul documentario, c’è tutta questa roba qua. Quindi come “film di genere” C’mon C’mon funziona o no? Secondo me sì.

SUNDOWN

Sundown, in anteprima il trailer ufficiale del film con Tim Roth e  Charlotte Gainsbourg

Non ho ben capito perché Michel Franco sia così bersagliato. Di Nuevo Orden alcune recensioni non avevano nemmeno capito la trama della seconda parte del film, eppure era un (rozzo) esempio di pamhplet sulla simmetria del populismi dal basso e dall’alto con elementi intriganti di costruzione narrativa. Questa lenta disgregazione morale di un riccastro nella dark side di Acapulco è probabilmente un film di Ulrich Seidl senza la dimensione corporea e antropofagica del cineasta austriaco. Ma Franco continua ad essere un regista interessante e i suoi apologhi meritano una qualche riflessione.

CALIFORNIE

CALIFORNIE | Biglietti omaggio per il cinema Tibur di Roma - MovieDigger

Non ricordo un momento così ricco per il cinema italiano piccolo e piccolissimo quale quello degli ultimi anni. Anche Californie spicca in un panorama di micro-cinema di assoluto valore. La storia di una ragazza di origine marocchina, seguita dalla mdp per alcuni anni (dai 9 ai 14), in un impasto tra documentario e finzione, che per una volta è frutto di scelte lunghe e consapevoli, colpisce e commuove. Lo sbertucciato cinema del reale in verità continua a rivelarsi un caleidoscopio di progetti in cui convivono talvolta velleitarismi ma anche, come in questo caso, progetti intensi e riusciti.

UN FIGLIO

Un figlio (2019) di Mehdi Barsaoui - Recensione | Asbury Movies

La formula è quella “farhadiana” che sta diventano un modello: scelte drammatiche che mettono in conflitto il singolo e l’istituzione (o il dispositivo sociale) con svelamento progressivo di tracce oscurantiste nel vissuto dei protagonisti. Mehdi Barsaoui traspone la strategia nella Tunisia del 2011 – con tutto quel che comporta – e scolpisce un melodramma matarazziano raffreddato cui purtroppo manca proprio il coraggio di farsi fiammeggiante, rimanendo inchiodato nei moduli del cinema d’essai e del film “da discussione”. Peccato per Sami Bouajila, al solito enorme.

UNA MADRE, UNA FIGLIA

“Una madre, una figlia”, un film toccante su un legame sacro (e  indissolubile)

Scene di patriarcato in Ciad. Mahamat-Saleh Haroun racconta “femmine folli” orgogliosamente indipendenti in posti in cui sarebbe meglio non esserlo. La sottile linea tra “terzo cinema” didattico e cinema-cinema è risolta a favore di questo film grazie a elementi di pura messa in scena. Bastano l’inizio e la fine. La prima scena del lavoro manuale sulla gomma è strepitosa, materica, onesta. Il momento “revenge” è labirintico, duro, secco come il colpo del bastone che schiocca sulla testa. Qua e là poi le cose funzionano meno, ma con un atteggiamento cinematico di questo tipo perdoniamo tutto.

GRANCHIO NERO

Granchio nero (2022) - La recensione del film su CinemaLux

Action fantascientifico svedese con l’onnipresente e tostissima Noomi Rapace. Siamo in un futuro “ucrainizzato” con una guerra devastante che ha ridotto il Paese in macerie. Una combattente va in missione semi-suicida sui ghiacci con la speranza di incontrare la figlia strappata dagli invasori. Lasciando perdere ogni riflessione in materia, Adam Berg imbastisce un’avventura fin troppo lunga con alcune idee formidabili e con dignità assoluta per il genere europeo. Sia la guerriglia urbana sia la lunga parte su pattini sono da applausi. Poi sbraca, ma è un piacere (e in Italia si potrebbe fare?).

ANTIDISTURBIOS

Antidisturbios - Delitto e Castigo al TFF 2020 - ArteSettima

Arrivata a sorpresa su Disney+, la serie di Isabel Peña e Rodrigo Sorogoyen (sempre più interessante come autore contemporaneo) ha già fatto il pieno di elogi. Ci accodiamo, notando l’ossessione di Sorogoyen per la corruzione in Spagna, e notando come i problemi dei corpi di polizia – volgarmente, i celerini – siano simili dappertutto. Vincente l’idea di promuovere a protagonista una giovane donna (Vicky Luego, un grumo di bellezza e tensione), e vincente l’idea di guardare al vulcano sociale di oggi come a un conflitto tra persone troppo abituate a scontrarsi per capire il male che fanno ai presunti nemici. L’indagine convince meno dell’affresco ma è un dettaglio.