Skip to main content

Tag: Cédric Jimenez

NEBULOSE DI CINEMA IN TRANSITO

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi

MON CRIME

Per Ozon il cinema è una pratica infinita, un film all’anno (come minimo) e l’ossessione per la mutazione radicale di stili, forme, narrazioni a ogni progetto. Qui si torna a Feydeau, alla commedia lubitschiana, al gioco di maschere talmente lieve da insospettire: e infatti il tema del femminile e della violenza sessista del mondo dello spettacolo emergono in modo beffardo, in mezzo alle buffonerie e alla gazzarra, cosicché chi vuol capire capisca. Sempre interessante in ogni sua operazione.

AS BESTAS

Tocca ridimensionare, ma solo un po’, l’acclamato folk thriller di Sorogoyen. Regista dotato, in gamba, lucido purché lo si tratti con gli strumenti giusti, un autore cinefilo che piega i generi a modo suo e non certo il nuovo filosofo della violenza o dei conflitti contemporanei. Qui, pescando un po’ da Peckinpah e un po’ dal nero francese, conduce una sfida serrata aggiornata alla guerra tra poveri del capitalismo contemporaneo. Ecco ciò che rende As Bestas diverso da Il vento fa il suo giro, che – insieme a I padroni di casa di Gabbriellini (migliore però di questo Sorogoyen) – costituisce un po’ una trilogia delle comunità impermeabili al “nemico esterno”.

NOVEMBER

Il tesissimo racconto politico-terroristico di Cédric Jimenez è un film che serve come il pane al cinema europeo contemporaneo per almeno due motivi. Il primo è che mostra, fuori dal polar contemporaneo (di cui è peraltro ottimo esponente) come si spettacolarizza un trauma nazionale attraverso gli stilemi dell’action metropolitano, narrato e montato a rotta di collo. Il secondo è che apre la via a un cinema di “patriottismo critico”, non lepenista ma nemmeno progressista, che si situa dalla parti di Bigelow, ovviamente senza (ancora) arrivare a quelle vette.

PASSEGGERI DELLA NOTTE

“Quei film che in Italia non sappiamo fare…” ecc ecc. La formula è antipatica e retorica ma rende l’idea. Se Ozpetek o Luchetti facessero regolarmente pellicole come questa (o se il cinema italiano potesse costruire personaggi femminili così) avremmo un cinema medio-autoriale più appassionante. Proprio il fatto che il cinema francese ne sforna a decine ogni anno ridimensiona paradossalmente I passeggeri della notte che tuttavia seduce con una Charlotte Gainsbourg clamorosa e con momenti mélo molto puri, molto riusciti, caldi come la voce radiofonica notturna di Emmanuelle Béart.

L’INNAMORATO, L’ARABO E LA PASSEGGIATRICE

Sono sinceramente imbarazzato a riportare qui sopra il titolo italiano (come può venire in mente? sarebbe ironico? bah). Detto questo, il lunare ménage a trois – dove il tre cambia sempre, perché i personaggi sono tanti ma ce n’è sempre uno di troppo – di Alain Giraudie ha dalla sua un erotismo buffo, un’osservazione perfida della Francia contemporanea e un gusto per l’assurdo tali da perdonarne le fragilità. Va preso nel modo giusto, una poesiola molto corporea, senza puntare al capolavoro né alla pochade.

LA CASA – IL RISVEGLIO DEL MALE

Si riparte da una voragine, come nel precedente (discreto) Hole – L’abisso di Lee Cronin, regista irlandese che qui è chiamato a rinnovare l’estremismo gore della saga. Lo spirito originario però non era garantito dalle dosi di raccapriccio ma dall’atteggiamento fantasmagorico e quasi comico di Sam Raimi, la cui energia esplosiva negli spazi claustrofobici di una casa è qui emulata con risultati piatti e soporiferi. Di ironia neanche l’ombra, di soluzioni brillanti alle fantasie di smembramento se ne contano pochine. Ma quanto sta male il mainstream horror? Reagire prima che il coma diventi irreversibile.

COCAINORSO

E alla fine, se pop grandguignol dev’essere, meglio di gran lunga Elizabeth Banks con il suo orso strafatto di polvere bianca. Il film è abbastanza spiazzante perché non la butta totalmente in caciara ma perde tempo a descrivere personaggi tra serio e faceto e costruendo una storiella tutto sommato divertente. Con uno spirito “landisiano” (pur senza lontanamente avvicinarsi al Lupo mannaro), facezie anni ’80 e momenti splatter si alternano con sano atteggiamento di consapevole svacco. Del resto, con un titolo di questo tipo, uno spettatore non può certo lamentare di essere stato ingannato sul tipo di film che gli è capitato davanti.

SUPERMAN

Torna in sala per il centenario Warner Bros. il primo grande Superman dell’era moderna, quello con l’indimenticato Christopher Reeve (ancora più perfetto come Clark Kent che come supereroe) e con i mostri sacri Marlon Brando, Glenn Ford, Gene Hackman. Per quanto obsoleto e un po’ acciaccato dall’età, il lavoro di Donner è pienamente riuscito e ha influenzato una generazione, facendo da base ad alcune rinascite più recenti (in primis quella ideata da Bryan Singer), ma ancora lontano dalle cupezze DC Universe. Merito di un giusto spazio alla commedia sentimentale e al divertimento puerile, che Superman deve saper garantire.

VOYAGE NEL CINEMA INTERNAZIONALE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

LA PADRINA

La storia dell’interprete per la polizia che si reinventa boss della droga travestita da araba è di quelle a serio rischio stereotipo etnico, ma in Francia osano spesso attraverso la commedia (tipo Non sposate le mie figlie! o Due sotto il burqa). Poi ovviamente tutto gira intorno a Isabelle Huppert: il che significa che il carisma e l’autorevolezza della star sono di per sé una “promessa” di serietà politica anche quando si ride (risultato culturale interessante). Ma si ride? Insomma. La vena malinconica pian piano prevale (saggiamente), e se ci fosse stato un autore più ribaldo, chessò come Pierre Salvadori, magari si godeva di più.

ALLONS ENFANTS

Allons enfants di Giovanni Aloi è un film osservazionale e iperteso, come se idealmente D’Anolfi e Parenti si fossero messi a girare in chiave Bigelow. Progetto molto forte, anche se i pattugliamenti, le preoccupazioni, il batticuore e l’implosione continua (almeno fino al finale) non sempre appaiono potenti quanto Aloi pensa che siano. Molto più appassionante analizzarlo formalmente: forme di regia, di costruzione dello spazio, di rappresentazione urbana, di ricognizione del dettaglio sono decisamente maiuscole. E lo spettatore-critico abbandona la storia e si mette ad analizzare in sala.

BAC NORD

Terzo film francese della giornata e anti-film rispetto a quello di Aloi. Qui la sorveglianza e il pattugliamento diventano epici, action, e il gruppo di poliziotti non si troverebbero male nel cinema di Fuqua (o almeno del Fuqua ancora brillante di qualche tempo fa). Jimenez è uno che sa il fatto suo, e la sua Marsiglia brutale, blindata e carpenteriana aspetta solo di esplodere, come regolarmente fa nella seconda parte del racconto. BAC Nord in Francia ha rispolverato dibattiti d’antan: accusato di essere fascistoide (sbirri duri ma buoni vs. spacciatori magrebini armati fino ai denti), ha spopolato al botteghino. C’è già aria di Zemmour?

VENOM: LA FURIA DI CARNAGE

“Meglio il primo”: gli spettatori liquidano la questione e circa 15 minuti dopo aver visto il sequel stanno perdendone i pezzi nella memoria. Per metà film ti chiedi come sia possibile vedere un blockbuster Marvel (sia pure Sony) dove tutto ruota intorno a un tizio che sente una voce in testa e ci litiga. Poi c’è una sfida tra simbionti in cui l’unica cosa divertente è vedere che facce fa Woody Harrelson mentre si autocita in Natural Born Killers. Poi alla fine, vedendo che è durato solo novanta minuti, che non hanno poi speso tanto, che la sua rancida ironia regressiva ti ha sfiorato, che il sempre più intontito Tom Hardy lo ha pure scritto, che – insomma – la cosa in sé è veramente svaccata e guadagna pure un sacco di soldi, ti viene da simpatizzare e preferirlo a micidiali, pompose stupidaggini block-disneyer come Black Widow.

LOVELY BOY

Nascita e conferma di un autore? Tematicamente ci siamo: il primo Ultras era una cocente descrizione dall’interno dei tifosi napoletani (con destino fin troppo segnato, ma tant’è), questo parla della comunità trap con simili intenzioni antropo-narrative. Purtroppo interviene uno strano moralismo, un’assenza di quel rispetto che là paradossalmente (dove si fa di ben peggio) si annusava, con derive caricaturali. La parabola rapstar-tossicodipendenza (più comunità di recupero spartana) viene in parte riscattata da controllo formale e ottimi attori (il cinema italiano è strapieno di caratteristi che mezzo mondo si sogna). Comunque Lettieri è un talento, che per ora scodella film su Netflix e Sky. Nuocerà? O è il futuro della nuova autorialità streaming nazionale? Chi vivrà vedrà.