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Tag: Edward Berger

DI MOSTRI, CREATURE E DELITTI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. Questa volta ci addentriamo in alcune produzioni molto oscure dello streaming di queste settimane.

FRANKENSTEIN

Il problema dei film su Frankensitein non sta nella loro numerosità (o non del tutto), e neppure nella difficoltà ad evitare l’effetto-parodia di Mel Brooks (spartiacque decisivo). Il vero limite è che le metafore innescate dal “mostro” sono ormai ovvie e risapute; trasformarle in qualcos’altro si dimostra sempre complicatissimo. Del Toro imposta un racconto attuale, dove Victor è un privilegiato che sfrutta le guerre e la carne da cannone per i suoi fini morbosi, come fosse un Musk ante litteram. Poi però la suggestione si inceppa, e la “presa di parola” della Creatura, con il punto di vista narrativo, rinuncia al politico per il patetico, cancellando involontariamente il ritratto del “fascio-scienziato”. Si salva una certa inventiva gore. Molto meno il barocco di Del Toro, depotenziato dall’estetica streaming.

IL MOSTRO

Mostri più reali, quelli (al plurale?) di Firenze. Stefano Sollima decostruisce tutte le attese (e ottiene musi lunghi più che applausi) “mostrificando” l’Italia intera. Si stava meglio nella buona vecchia nazione pre-social media e pre-populismo? Per nulla: un Paese violento, guardone, arcaico, sessuofobo, misogino, dove i comportamenti dentro quattro mura o in piazza erano solo l’anticamera di una storia orribile e maniacale. Nessun attore famoso, un “presepe” visivo che viene insanguinato ad arte, un puzzle che si compone piano piano, di punto di vista in punto di vista (in attesa di una prossima stagione). Forse con Sollima e Mezzapesa stiamo trovando il modo di reinventare a modo nostro il genere true crime.

MONSTER – LA STORIA DI ED GEIN

Complementare la scelta di Ian Brennan (e del “brand” Ryan Murphy) su un mostro altrettanto letale. Qui il serial killer archetipico viene raccontato dall’interno, senza che ci sia il minimo dubbio sulla sua identità. La morbosità anatomica giunge a livelli forse inediti per Netflix, mentre lo spettatore oscilla tra (molti) dubbi etici e ammirazione per l’affresco da incubo. Sebbene non convincano né le tesi di Ed Gein come prodotto dell’America oscurantista, né quella di Ed Gein come icona pop per un pubblico affamato di orrori (una specie di meta-discorso sullo spettatore del true crime), entrambe sono intriganti. E quel dopo-guerra USA sottratto alla caramellosa rappresentazione nostalgica per farne uscire l’anima nera, diffusissima, non è poi così frequente da vedere.

GOOD BOY

No, non è la soggettiva di un cane; è il punto di vista di un cane (attraverso un misto di semi-soggettive e oggettive, primi piani e steadicam a precedere o seguire). In ogni caso, una scelta inedita per l’horror, sempre in cerca di approcci sorprendenti al dispositivo, come la POV-mania di qualche tempo fa o la soggettiva dello spettro in Presence. Interessante, in questo film distribuito direttamente in streaming, la sfida di farci negoziare tra ciò che sappiamo dei cani e ciò che crediamo di sapere dell’animalità. Anche perché il finale, oltre a colpire, chiede di riprocessare tutto ciò che abbiamo visto. Non solo per spiegazione narrativa ma proprio perché smonta la presunzione specista del nostro sguardo.

TASK

Sarà forse esagerato fare politique des auteurs su Brad Ingelsby, ma con Omicidio a Easttown e questo Task (da lui ideati), più la sceneggiatura dell’altrettanto recente The Lost Bus, si intravede una linea ben precisa: lavoro sui generi che non rinuncia a una profonda descrizione di piccole comunità e nuclei famigliari. Qui, complice un Mark Ruffalo splendidamente appesantito e affaticato, il dato noir (omicidi che hanno stravolto i sopravvissuti, motociclisti criminali, faide e vendette) si stempera nell’umanesimo che già aleggiava nella serie con Kate Winslet – anche se qui forse manca un personaggio del suo carisma. Tanto basta, comunque, a confermare tuttora HBO come habitat naturale delle mini-serie di prestigio fatte bene.

REGNI, NASCONDIGLI E PRIGIONI: FASI DEL CINEMA E DELLA STORIA

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

BLACK PANTHER: WAKANDA FOREVER

Una buona notizia c’è: è finita l’orrenda fase 4 della Marvel, che verrà ricordata come il regno della confusione progettuale. E si chiude con un film altrettanto caotico, pur se apparentemente unificato dall’afro-estetica (che puzza di appropriazione culturale tanto quanto altri prodotti più discussi). Per il resto, la sostituzione di Boseman è pigra e prevedibile, il cattivo un Aquaman a rovescio, l’enfasi subacquea messa lì per lanciare Avatar 2 e la de-colonizzazione un washing aziendale imbarazzante (con finale reazionario). Da dimenticare in fretta, a meno di prenderla come passerella di 160 minuti per i magnifici costumi di Ruth Carter, un film nel film.

BARBARIAN

Piccolo caso horror del dopo-estate americana, arriva su Disney+ da noi un po’ in sordina. Con una certa condiscendenza, si possono apprezzare alcune cose: il roller coaster narrativo, con un gioco in contropiede sulle aspettative identitarie – decisamente riuscito nella prima parte; una qualche spudoratezza nel progetto, senza troppa paura dei rischi di ridicolo; il ritorno di facce come Justin Long (e come il personaggio riequilibra il dominio di genere). Pochino? Nella gravissima crisi dell’horror contemporaneo ci si accontenta.

ARGENTINA 1985

Il dilemma della critica di fronte a questi film si ripresenta come il sangue di San Gennaro. Chi potrebbe voler male a un vibrante racconto (su Prime Video) del processo che inchiodò i generali della dittatura argentina negli anni Ottanta? Chi siamo noi per vare le pulci a qualsiasi cosa giri Ricardo Darín? Eppure, il dritto per dritto non concede nulla a un cinema mai meno che frontale e didattico. Insomma, siamo lontani dalla reinvenzione del cinema civile di No – I giorni dell’arcobaleno.

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

Non so se, senza 1917, sarebbe tornata in auge la Prima Guerra mondiale nei film contemporanei. Certo che tornare a Remarque non è una cattiva idea, anche solo per ricordare che là dentro c’era già tutto. La trasposizione nell’epoca dello streaming (Netflix) tuttavia non giustifica gran che il ricorso al modello, mancando di qualsiasi pensiero profondo sul conflitto. Grazie al parossismo e a ottime scene di battaglia (specie negli spazi stretti della trincea) si resta comunque ammirati.

CAUSEWAY

A dimostrazione che lo streaming (Apple+ in questo caso) sta assorbendo distributivamente anche l’indie-cinema americano, ecco un classico Sundance-movie dove si parla molto e si osservano micro trasformazioni psicologiche nel rapporto tra due personaggi ai limiti della società. Detta così sembra deludente, e invece il minimalismo funziona sempre quando è acuto, sottile e critico. Jennifer Lawrence e soprattutto Brian Tyree Henry sono superlativi, ma basterebbe la scena del colloquio in carcere per volere bene al film di Lila Neugebauer.

IL PIACERE E TUTTO MIO

Non so se disperarmi perché nel 2022 c’è bisogno di un film del genere per spettatori con seri problemi di progresso sociale, o perché nel 2022 il cinema d’essai pensa che ci sia bisogno di un film del genere (anche se siamo di fronte a una specie di algoritmo per audience mature di chiara motivazione commerciale). Per fortuna c’è Emma Thompson, che è una specie di filtro per l’aria del cinefilo: tutto ciò che di ipocrita, retorico, finto coraggioso, salottiero, anti-cinematico, conservatore passa per il suo volto e il suo corpo, ne esce pulito, riscaldato, umanizzato e più stimolante. Brava lei.

PIOVE

Risposta da horror indipendente a Siccità. Dentro il mondo di Virzì non piove mai, in un paesaggio urbano assolato e spopolato, dove tutti si odiano ma sprazzi di umanità si ricostruiscono tra sconfitti dalla vita; qui piove sempre, tutti si odiano lo stesso ma almeno passano ai fatti, con una versione splatter della litigiosità da social. Strippoli continua nel suo tentativo di trovare uno spazio di sangue e una consapevolezza di genere nel cinema italiano; e ci riesce a singhiozzi. Rongione alza il livello del cast.

UN ANNO, UNA NOTTE

Come fare cinematograficamente i conti con la strage del Bataclan? Raccontando sprazzi della vita di un paio di sopravvissuti. Ovviamente la curiosità un po’ morbosa dello spettatore è più che altro concentrata su quando arriveranno i flash-back del massacro, che ci sono e sono intelligentemente giocati sulla paura e sul fuoricampo, piuttosto che sulle atrocità. La questione della rielaborazione sentimentale e psicologica, invece, somiglia a tantissime altre, col pilota automatico del film d’autore: inquadrature strette e introspezione assicurata.