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Tag: Michael Shanks

AMORI FATALI E ORIZZONTI PERDUTI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. 

TOGETHER

Gli horror con le idee chiare sono meglio di quelli con le idee confuse. Ovvio. Il rischio dei primi è quello semmai di offrire letture troppo didascaliche (che era, a parere di chi scrive, il limite maggiore di The Substance). Together riesce a evitare le medesime trappole, e a seminare interpretazioni di vario tipo: è una metafora dell’amore tossico? è una commedia del ri-matrimonio bagnata nel cinema di Yuzna e Cronenberg? è un’anti-commedia che ci invita a scappare dai rapporti prima che degenerino? O è un folk horror sulla provincia boschiva Usa e le sue infinite pieghe irrazionali? Sebbene un po’ derivativo dal punto di vista iconografico ed estetico, Together scava in quella trincea ibrida tra elevated horror e mainstream horror che forse sta diventando la terza via più interessante del momento.

TESTA O CROCE?

Progetto ambizioso: un western italiano che scavalla la tradizione leoniana, recupera invece un (bel) po’ di Peckinpah e di rivoluzionari messicani, celebra la Maremma pistolera e i butteri da prateria nell’ “ovest italiano”, zigzaga tra ironia e surrealtà. Rigo de Righi e Zoppis (complice un curioso Buffalo Bill interpretato dal sardonico John C. Reilly) realizzano un UFO cinematografico, nel quale si dimena il sempre generoso Alessandro Borghi (che sarebbe stato benissimo nel cinema di Sollima o Corbucci). Unico, vero, non secondario ostacolo: si gode poco. Un film così dovrebbe stimolare un piacere continuo, lasciare il genere lobero di scatenare le sue passioni; eros e pallottole sembrarci irresistibili. Invece tutto appare accademico e stranamente ingessato, anche – purtroppo – la protagonista Nadia Tereszkiewicz, cui non si crede proprio mai.

FERDINANDO SCIANNA – IL FOTOGRAFO DELL’OMBRA

Chiunque abbia sentito parlare Scianna, se ha resistito allo stordimento affabulatorio, ne è uscito al tempo stesso rigenerato e ammirato. A oltre 80 anni, questo uomo-racconto è in grado di operare ottime riflessioni esistenziali e meta-critiche su sé stesso e sull’arte fotografica. Bene ha fatto Robert Andò, a parte la civetteria di un b/n molto ricercato, a lasciare l’amico libero di parlare senza freni, per poi lavorare al montaggio. Contribuisce alla riuscita del documentario (molto semplice) la chiave della sicilianità, che pian piano diventa una sorta di fil rouge che parte da Pirandello, attraversa Sciascia, trafigge lo stesso Scianna, tocca Dolce & Gabbana (ebbene sì), e arriva a Tornatore. Un pezzetto di arte italiana raccontato con gusto e lasciato ai posteri.

LE CITTÀ DI PIANURA

Si parla di modello-Jarmusch, o Kaurismaki, per questa provincia veneta stonata e alcolica, ruvida e malinconica. Ma il modello è ancora una volta la commedia all’italiana (se vogliamo, una commedia contemporanea post-Mazzacurati). Ci piace, di Sossai, che sappia tenere l’equilibrio tra un arco narrativo in verità organizzatissimo – è una specie di Il sorpasso senza tragedia finale – e un’apparenza svagata, strampalata, tipo “buona la prima” (grana Kodak a garanzia). E le annotazioni sparse sull’Italia, alcune esilaranti e altri disperanti, funzionano tutte, anche perché il paesaggio per una volta è interrogato dai personaggi e non dal regista che lo contempla. Attori di precisione antropologica assoluta. E se dovessimo trovargli un modello culturale ed estetico, lo scopriremmo nella musica: questo è un film post-rock (vedi colonna sonora), e specificamente il post-rock anni Novanta.

L’ISOLA DI ANDREA

Per i suoi 85 anni, l’ostinato Antonio Capuano torna all’infanzia negata. Questa volta abbandona il teatro di frontiera della periferia urbana napoletana e si concentra sui più asettici spazi borghesi di una coppia che si sta separando. A rimetterci, manco a dirlo, il figlio piccolo, diverso però da altri simili del “cinema del divorzio” e dotato di un’umanità, di una resilienza e di una fantasia che lo distinguono egregiamente dagli altri. Per il resto, l’autore segue rigorosamente una serie di incontri con i mediatori civili, creando un set di riferimento per il dramma dell’elaborazione della fine. Tutto è nitido, non scolastico. E sebbene la recitazione a volte fatichi a trovare l’equilibrio tra questa nettezza formale e la mimesi psicologica, L’isola di Andrea conferma la cocciuta intelligenza emotiva di Capuano.

THE LOST BUS

Per chi è innervosito da Paul Greengrass (con il suo stile fatto di zoomate e schiaffi continui, macchina a mano tesa a occultare il fuori campo, punti di ripresa illogici e immotivati, confusione spacciata per ritmo) The Lost Bus altro non è che la conferma della sua estetica, applicata stavolta a contenuti dimenticabili. Per gli appassionati del sotto-genere “incendi devastanti al cinema”, bisogna invece ammettere che c’è pane per i loro denti, grazie a uno sforzo scenografico imponente, a una certa suspense, e a fiamme finalmente credibili, rispetto alle orribili lingue di fuoco digitali degli ultimi tempi. Sotto sotto, pur tratto da una storia vera, si tratta di una megapuntata deluxe di un qualsiasi Chicago Fire, in cui osserviamo con simpatia il divismo ormai combusto di Matthew McConaughey e qualche timida critica sociale che non offende nessuno. E il destino da piattaforma (Apple TV+) dice molto del destino del film medio.