Oggi la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film italiani di diversa origine, diverso tono, diversa identità produttiva.
THE ITALIAN BANKER
Il cinema di Alessandro Rossetto tematizza crisi e cisti del nord-est, ma con un approccio diverso da Andrea Segre (li chiamo i post-mazzacuratiani anche se somigliano il giusto). Rossetto di solito è più politico, sfiora il reportage narrativo, ed è per questo che trovarlo alle prese con un impianto teatrale e un bianco e nero (rivedibile) sorprende. Ma i problemi sono gli stessi: avidità umana, spoliazione del territorio e dei legami famigliari, banche e imprese che slittano verso l’illegalità senza battere ciglio. Funziona, con un po’ di pazienza e aggiungendo la gratitudine per aver cercato quelle “formalizzazioni” che il cinema italiano fatica a trovare, prigioniero ancora dopo decenni del fantasma della realtà.
SULLA GIOSTRA
Giorgia Cecere fa pochi film (uno ogni 5-6 anni, come regista) ma li medita. Qui utilizza alcuni confronti simbolici evidenti, talvolta troppo: metropoli e provincia, modernità e tradizione, movimento e stasi, sradicamento e territorio, donne di diversa età (la proprietaria e la governante). Come sempre, però, contano le forme e i dettagli. Il processo di costruzione dell’autenticità è molto minuzioso, le attrici (Sardo, certo, ma anche e forse soprattutto Gerini) danno il meglio, e per una volta gli ambienti domestici “parlano” – visto che spesso nel cinema italiano si ignora come riprendere un appartamento e infondergli vita vissuta.
IL MATERIALE EMOTIVO
Il film è tremendo e irredimibile in tutti i suoi aspetti: spiace per il soggetto mai girato di Scola, ma la cura Castellitto/Mazzantini è una mazzata che guarda ingenuamente a Visconti e al realismo (magico) francese faticando ad arrivare all’ora e mezza con snervanti tentativi di prendere tempo. Detto questo, il problema è un altro: si tratta di un film che non ha un pubblico, non ci sono letteralmente gli spettatori – nemmeno potenziali – perché questa produzione vedesse la luce. Spero che le vendite estere, grazie a Bérenice Béjo, mi smentiscano, altrimenti è un altro capitolo di quel cinema che si ripaga in modo auto-referenziale attraverso i finanziamenti e non in sala.
LUCUS A LUCENDO – A PROPOSITO DI CARLO LEVI
Nuove frontiere del documentario, tra indagine antropologica, naturalismo, cinema di poesia, critica letteraria e critica d’arte. Il film di Lancellotti e Masi segue il viaggio di Stefano Levi Della Torre nei luoghi della vita pubblica di Carlo Levi. Cristo si è fermato a Eboli diviene il territorio da esplorare, tra presente e passato, per una sorta di crito-film esteso e affascinante. Alla fine, è il Novecento e il rapporto tra artista e società ad essere messo in scena, scosso dai tremendi rivolgimenti della Storia del secolo scorso. Tradotto: è didattica cinematografica esplorativa senza avere l’aspetto della lezione.