Mi accodo ai molti, sacrosanti ricordi dedicati a Renato Pozzetto di questi giorni, in cui il comico compie 80 anni. Si tratta di un personaggio unico nella cultura popolare italiana, fortemente legato al milieu lombardo di provenienza (come gli amici Cochi Ponzoni, Enzo Jannacci e Beppe Viola, insieme a molti altri), che ha saputo – anche grazie all’intelligenza di un produttore come Achille Manzotti – costruire un pezzetto di commedia italiana a metà tra il surreale e il pop.
Non è dei titoli più autoriale che vogliamo parlare (quelli con Lattuada o Mogherini, per esempio), e nemmeno dei due lavori con Celentano o delle commedie più addomesticate degli anni Ottanta. Piuttosto – visto che abbiamo altrove parlato di film a episodi – ci piace ricordare una sequenza (e questa è proprio la rubrica dedicata a singole scene di film), una delle più folli girate da Pozzetto. Si tratta di un breve estratto da Io tigro tu tigri egli tigra e potete rivederlo in fondo.
Il film uscì nel 1978 e fin dal titolo doveva alludere a Tre tigri contro tre tigri uscito l’anno prima con enorme successo. Siamo in una fase volgarizzata della commedia a episodi, pensata proprio per esaltare alcuni comici di grande successo, noti anche in televisione. In questa seconda fatica, Pozzetto è anche regista. Ma – quel che conta ancora di più – in scrittura troviamo Enzo Jannacci, Gianni Manganelli, Cochi Ponzoni, lo stesso Pozzetto, Italo Terzoli, Enrico Vaime, Castellano e Pipolo. Per dire. Pur stroncato dalla critica, Io tigro tu tigri egli tigra contiene alcuni momenti eccezionali come quello qui riproposto.
Oltre al momento straniante della trattoria Milan-Inter che si apre – come fossimo “ai confini della realtà – su San Siro, c’è la lunga gag della “Trattoria Semivuota”, un capolavoro di nonsense dove Pozzetto, tapino vestito un po’ da motocarrista e un po’ da pilota Ferrari, viene insultato da una vecchia locandiera, un avventore maleducato e un cuoco violento; maltrattato, servito con porzioni ridicole (e con un bicchiere di “acqua alla spina”, ovvero un bicchier d’acqua con una spina da elettricista immersa dentro), e infine cacciato in malo modo dalla stamberga.
Diretto dall’attore, questo stralcio del primo episodio (gli altri due dei tre complessivi sono con Paolo Villaggio ed Enrico Montesano diretti da Giorgio Capitani) ci dice molto della vena pozzettiana, che capitava si scatenasse proprio nei frammenti e nei lacerti che magari i processi di nobilitazione del comico rischiano di dimenticare. Nel precedente film “tigresco” i registi erano Sergio Corbucci e Steno, ma anche lì Pozzetto aveva messo il naso in sceneggiatura, e nel primo episodio – dove interpreta un prete – ci sono altre chicche tra il lunare e il demenziale, come quella dove, mentre spia Cochi con il cannocchiale da un campanile, dichiara di stare “sistemando il paesaggio”.
Dunque, per comprendere Pozzetto è abbastanza inutile separarne la figura cabarettistica più intellettuale da quella dei tormentoni musicali, la carriera di idiot savant di certo, tardo cinema d’autore dai film alimentari del periodo Lucisano (il produttore dei due titoli in questione, con la sua IIF), perché Pozzetto è una cosa sola, e il suo tocco s’imprime dappertutto, o con scene improvvise o negoziando con diversi contenitori, ragionamento del resto valido per la gran parte dei comici cinematografici.