Visioni Riflessioni Passioni

FANTASMI D’AMORE E PAURE ANCESTRALI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.  

TRUE DETECTIVE – NIGHT COUNTRY

Premessa: chi scrive non considera il primo True Detective qualcosa di epocale, se non per la storia culturale del prestige e del “cinematismo” nelle serie televisive. La pessima riuscita del due (soprattutto) e del tre (meno, ma comunque involuto), aveva abbassato le mie attese sulla quarta parte antologica fino a sfiorare lo zero. Sarà per questo che alla fine la sensazione del bicchiere a metà (ovvero non vuoto) prevale. Una sontuosa Jodie Foster – con annesse microcitazioni da Il silenzio degli innocenti – e un’ambientazione molto riuscita hanno convinto, sebbene la vicenda si ingarbugli sino a un finale poco soddisfacente. E anche dello spazio lasciato al soprannaturale, lasciando allo spettatore decidere quando e quanto crederci, non si sentiva il bisogno. In pratica, una stagione da godere più come esperienza immersiva (nel mondo dell’Alaska noir) che narrativa. Il sottofondo mistico-conservatore (e vagamente anti-scientista) si ricollega al millenarismo delle origini, ma un pochino preoccupa lo stesso.

LA NATURA DELL’AMORE

La distribuzione Wanted si è dichiarata giustamente dispiaciuta del disinteresse suscitato dall’esordio di Monia Chokri. Problemi di circolazione dei film, certo, ma anche di come intercettare il pubblico giusto. Questo strano dramma ironico e romantico individua una cifra sottilissima (una sorta di parodia dei dualismi d’amore che tiene conto consapevolmente della storia del cinema sentimentale) che alterna uno sguardo trasparente a un altro che sembra commentare ironicamente gli avvenimenti che vediamo – un po’ come succede in Past Lives ma caricando sullo humour invece che sul pathos. Alla fine, tra amplessi travolgenti e stereotipi binari, si fa strada una malinconia assoluta sui nostri desideri impossibili e su quanto la realtà, col tempo, deluda chi “se l’era raccontata”. Luminosa, sensuale e da seguire d’ora in poi la protagonista Magalie Lépine-Blondeau.

FINALMENTE L’ALBA

Che cos’era Cinecittà all’epoca d’oro? Un labirinto (di immaginario), un baraccone (di cosmopolitismo all’amatriciana), una parodia di Hollywood o un luogo di crudeli rapporti di potere? Tra tutte queste interpretazioni possibili, Saverio Costanzo sembra non saper decidere quale privilegiare. Eppure, con un occhio a L’amica geniale (che specie nella prima parte pare non aver abbandonato l’estetica dell’autore) e uno a Babylon, il C’era una volta il cinema di Costanzo pecca di generosità invece che di spocchia, spingendo a giudicarlo senza cinismo. Fellini, Visconti, Leone (e Sorrentino) scorrono sullo sfondo, ma ciò che conta non è il citazionismo (purtroppo da manuale introduttivo) quanto la claustrofobia che contrasta con la grandeur, forse la lettura più originale di anni Cinquanta altrimenti poco credibili.

ORIONE E IL BUIO

Oltre a offrire un titolo eccezionale (metafisico e concreto insieme), il nuovo Dreamworks su Netflix, sceneggiato niente meno che da Charlie Kaufman, non delude le attese. La mossa principale, semplice quanto inedita (non sarebbe forse dispiaciuta alla Pixar) è di rendere il Buio un personaggio, tra l’imbranato e il solitario, in cerca d’affetto. Il superamento delle ansie del piccolo protagonista, in compagnia di un vero e proprio “team” della notte, diventa un curioso romanzo di formazione psicologica infantile, nel quale a un certo punto è la luce a fare paura. Il tocco di Kaufman (che trae il tutto da un noto successo editoriale) è di trasformare la progressiva moltiplicazione delle cornici narrative in qualcosa di fluido e appassionante. Certo, rimane la sensazione che le piattaforme abbiano frammentato l’intero mondo dell’animazione, che ha l’aria un po’ smarrita. Ma a volte gli esperimenti (produttivi e distributivi) funzionano bene.

VOLARE

Buy esordisce dietro la macchina da presa, si mantiene anche davanti, e gioca con la “politica dell’attrice” che l’ha vista inchiodata per anni ai ruoli di insicura nevrotica. La fobia dell’aereo è alla base dell’esilissimo racconto, che all’inizio pare offrire un respiro ampio da sophisticated comedy (rara in Italia) ma poi rovina tutto “chiudendosi” in un hangar di fobici bislacchi che sembrano usciti direttamente dal tardo cinema di Carlo Verdone. Se si aggiunge l’ossessionante spot per la compagnia nazionale di volo e un terzo atto risolto frettolosamente, alla fine quell’ipotesi di un cinema intimo e prezioso (alla Gianni Di Gregorio) evapora insieme al racconto.

NADA – NOTHING

Tra le meno discusse del momento, c’è anche un’intelligente serie argentina su Disney+. La firma, in verità, è garanzia di gusto: Cohn e Duprat, quelli di Il cittadino illustre e Finale a sorpresa. Pur essendo una comedy di pochi episodi, i due cineasti confermano la sontuosità di messa in scena e la riflessione sull’arte (in questo caso culinaria) nel paradossale mondo contemporaneo. Il dandy protagonista, critico di ristoranti e scrittore anzianotto, funziona alla grande nella sua adesione isterica a una Buenos Aires dalla natura matrigna, e quando poi viene raggiunto dalla guest star Robert De Niro, il gioco di specchi tra immaginari si colora anche di una vena umoristicamente malinconica. Da recuperare.