Non è un caso che Il metodo Kominsky sia già al centro di convegni accademici internazionali (a proposito, uno di questi è Celebrity & Ageing. La vecchiaia nella cultura della celebrità, 14-15 novembre 2019 a Bologna). Nessuna serie recente ha intuito in modo così rapido e ironico il mutamento radicale ed epocale dello status di post-star nell’epoca dell’allungamento della vita attiva e dell’anzianità profonda. Al contempo, fa sorridere che sia stato Chuck Lorre, cantore dei giovani geek di Big Bang Theory, a raccontare con tanta autenticità e sottigliezza i gusti e i guai della terza e quarta età, potendo contare sull’autoironia di attori come Michael Douglas (un tempo legati alla fama di seduttori sessualmente voraci) verso i processi di invecchiamento fisico e logoramento della potenza erotica.
Certo, il lavoro di messa in scena è ai minimi termini ma rappresenta una ulteriore evoluzione (“da piattaforma”) della sitcom nell’epoca degli OTT. La dimensione della scrittura è sostanzialmente basata sul dialogo, e proprio il dialogo è responsabile della maggior parte dei ritmi testuali: non solo i confronti a due – in auto, al bar o in luoghi chiusi – ma anche il ricorso a frequenti confronti telefonici aiutano i meccanismi di variatio e intensificazione narrativa.
Ovviamente sarebbe sbagliato sopravvalutare una serie – per ora di due stagioni – molto leggera e probabilmente disinteressata a incidere sul dibattito culturale contemporaneo. Eppure, non sottovaluteremmo la capacità di Il metodo Kominsky di appropriarsi di molti temi caldi dell’agenda sociale di oggi (mascolinità tossica, neo-femminismi, posizionamenti post-ideologici, rappresentazione e narrazione del corpo, ecc.) e restituirli in modo semplice e al tempo stesso sottilmente provocatorio, grazie alla “protezione” dell’opinione personale che la vecchiaia permette (alle persone reali come ai personaggi della serie).