Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
CODA – I SEGNI DEL CUORE
Uno degli Oscar al miglior film più anonimi di sempre. Non certo perché si tratti di un remake (gli adattamenti di tutti i tipi sono un aspetto fondamentale del cinema fin dalla sua nascita) ma per la pigrizia con cui è stato confezionato. Difficile sostenere altresì che sia un brutto film, il che è quasi peggio perché la bruttezza talvolta è un segno di vita mentre in questo caso ci troviamo di fronte al classico good job (ricordate il monologo del maestro di jazz di Whiplash?). A proposito di good, possiamo dire che La famiglia Bélier era un classico feelgood movie, di cui Coda trattiene gli elementi euforici con una qualche, pallidissima, aggiunta di critica sociale (il peschereccio) a favore degli esclusi. La presenza di Marlee Matlin e di attori sordomuti garantisce la correttezza assoluta, ma si tratta a tutti gli effetti di un film perfetto per lo streaming. Almeno Netflix presentava alcuni film cinema-cinema, quale Coda non è.
UNA STORIA D’AMORE E DI DESIDERIO
Interessanti ribaltamenti di prospettiva nel nuovo film di Leyla Bouzid. Abbiamo infatti un giovane maschio francese di origine algerina, cresciuto nella periferia di Parigi con forti elementi di conservatorismo morale. E abbiamo Farah, di cui il ragazzo si innamora, tunisina appena arrivata nella capitale francese e ben più aperta agli incontri occasionali e alla scoperta dell’altro. Per una volta è l’uomo a sottrarsi all’erotismo, e la donna a insegnargli la fisicità dell’amore. Ci metterà tutto il film per farlo, sfruttando anche una tradizione meno nota di letteratura araba erotica. Il cinema sul desiderio è sempre questione di sfumature. Bouzid lo sa e lavora molto bene a partire dalla struttura ottica dell’attrazione, dove lui e lei si scambiano le caratteristiche culturali della danza seduttiva. E anche se la durata del lungometraggio pare eccessiva per un racconto che si mantiene sullo stesso asse per cento minuti, il film ha le idee chiare.
CALCINCULO
Nuovo gioiellino prodotto da Tempesta. Piccolo cinema italiano dei margini, che sinceramente vediamo spesso ma che altrettanto sinceramente non sempre è ben diretto o attentamente sorvegliato. Di Calcinculo piace proprio l’attenzione di Chiara Bellosi nel costruire gli spazi, gli ambienti, i corpi, il rapporto tra dentro e fuori, viaggio e stasi, giri a vuoto e linee rette: un lavoro davvero ricco, anche se applicato a una vicenda volutamente minimalista. Si comincia con una storia di bulimia e si prosegue con un confronto tra sessi e sul sesso con un outsider assoluto che modifica la visione del mondo della protagonista. Ovviamente ci sono “ganci” di sceneggiatura fin troppo visibili (del resto evidenziati fin dal titolo), ma come detto è proprio nella messa in scena e nella direzione degli attori che il film si incarna e si verifica, e non per forza in cerca di flagranze rohrwacheriane o marcelliane – che altrove hanno fatto scuola nel cinema indipendente nazionale. Infine, una citazione speciale per Andrea Carpenzano, sempre più elettrico.
CORRO DA TE
Ci sono due modi di guardare a questo film. Uno senza troppe menate, per cui ci troviamo davanti a una discreta commedia di Riccardo Milani che aggiorna alcuni elementi “sofisticati” hollywoodiani attraverso un adattamento accettabile dell’originale francese. Poi ce n’è un altra – che sappiamo rischiare l’eccessiva seriosità – che si chiede che senso abbia rappresentare in questo modo la disabilità fisica. Si consideri che nel film uno degli elementi narrativi centrali è che chi si finge disabile viene riconosciuto lontano un miglio dai veri disabili: perché solo loro sanno che cosa vuol dire essere, e non sembrare, limitati da un handicap ogni minuto della propria vita. Ah, sì? E perché quindi noi spettatori dovremmo credere alla bellissima Miriam Leone che si muove disinvolta sulla sedia a rotelle dandoci una lezione sul fatto che tra le disabili si nascondono meraviglie da Miss Italia? Non si tratta di imporre attrici disabili in ruoli di disabile per puri motivi di correttezza ma di non mentire così spudoratamente tra morale della favola e modi per raccontarla.
ALTRIMENTI CI ARRABBIAMO
Flop terrificante per questo remake che osa mettere mano al cinema di Bud Spencer e Terence Hill. Il trailer e i materiali promozionali sembravano in verità aver trovato una chiave per ricordare lo spettacolo popolare di mezzo secolo fa, oggi spina dorsale di prime time delle reti private. Purtroppo il lavoro di Younuts! è un mezzo disastro dal punto di vista del world building. Pesce e Roja ce la mettono tutta per imitare i due miti, ma si trovano immersi in un mondo totalmente svuotato: non solo la scenografia è tristemente di cartapesta, i volti sono sbagliati, i ritmi comatosi, le scazzottate fasulle, le risate telefonate e così via; è che man mano che il film prosegue ci si accorge che quel cinema artigianale e quel pubblico pop non esistono più. Si sostenevano l’un l’altro e si sono trasferiti in una ritualità da piccolo schermo ormai non più resuscitabile. Rimane dunque solo la possibilità di una reviviscenza postuma, che però dovrebbe averne la consapevolezza. Un film per nessuno che voleva essere per tutti.