Visioni Riflessioni Passioni

IL CINEMA DELLE COMUNITÀ IN CRISI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

LAMB

Full trailer per Lamb: nell'Islanda rurale Noomi Rapace cresce un bebè  ibrido umano-pecora - Il Cineocchio

Piccolo horror islandese con Noomi Rapace (di cui bisognerebbe cominciare a tratteggiare la figura di attrice quasi-di-genere), che si occupa di ibrido uomo/animale. Come lo svedese Border del 2018, anche Lamb lavora su elementi ancestrali, dimensioni famigliari e sessuali, elementi primari che sconvolgono gli orizzonti di conoscenza senza per questo sfociare nei codici più riconoscibili dell’occulto. Anzi, in questa storia di un figlio con testa di agnello che porta a intensificazione difficili rapporti parentali, quel che piace è la “piena luce” in cui si svolgono gli avvenimenti, con l’unico strumento del fuori campo per lavorare sul mistero e sull’occultamento. Certo il folk horror sta diventando un sotto-genere abbastanza riconoscibile, talvolta facile nelle sue articolazioni. Così come bisogna onestamente sottolineare l’inconsistenza narrativa che talvolta si nasconde negli stilemi della rarefazione. Ma il tassello di horror autoriale europeo si aggiunge al resto con merito.

LUNANA

Lunana, il film del Buthan che merita l'Oscar 2022 ha un tocco gentile e  aggraziato. Il trailer in anteprima - Il Fatto Quotidiano

Sinceramente, quando ho letto del primo film bhutanese candidato all’Oscar per il Miglior Film Straniero, e per di più con una storia che sembrava molto simile a Non uno di meno di Zhang Yimou, la parte più cinica di me ha pensato al consueto prodotto didascalico esotico che piace molto al pubblico pomeridiano delle sale d’essai. Visto il film, pur non rimangiandomi completamente lo scetticismo iniziale, devo ammettere che Lunana ha numerose frecce al suo arco. Lo stile è nitido più che risaputo, la trasparenza del protagonista più autentica che costruita retoricamente, la pudicizia della non-storia d’amore quasi fordiana in certi momenti di wilderness, la tensione tra aspirazione sociale giovanile e tradizione di villaggio non così scontata come sembra. Probabilmente in mani più autoriali sarebbe diventato cinema contemplativo d’autore, ma l’aver scelto una chiave più ingenua ed empatica non è certo una colpa, anzi.

IL MUTO DI GALLURA

Il muto di Gallura” al Torino Film Festival - La Nuova Sardegna

Tanti indizi cominciano a fare una prova. La storia folk italiana sta diventando un elemento di elaborazione narrativa interessante per il piccolo cinema indipendente italiano: Piccolo corpo, Re Granchio, solo per citarne due recenti, ci parlano come Il muto di Gallura di territori, credenze, legami di sangue, rituali e comunità, ognuno poi lavorando su fronti non autoctoni: il film di viaggio, il western, persino l’horror. Nel film di Matteo Fresi lo scenario è quello di una faida ottocentesca sarda, un Hatfield & McCoy all’italiana, dove fucili, cavalli, cinturoni e buone mire furono decisive per proseguire un conflitto pluriennale e sanguinosissimo. Il progetto è molto forte, pensato nel modo giusto. I problemi vengono con i materiali concreti, a cominciare da attori molto diseguali, cali di potenza registica improvvisi, enfasi che non sempre riesce a essere riassorbita nel nerbo del racconto. Inoltre il western è un modello fin troppo evidente, con scolastici brani musicali simil-morriconiani che rischiano di indebolire l’idea.

PO

Po, Andrea Segre e Gian Antonio Stella ricordano l'esondazione del 1951 |  CameraLook

L’attività di Andrea Segre è incessante, alternando documentari e cinema di finzione. Ormai il mondo veneto per Segre è luogo di mitografia, ricostruzione storica e dedizione narrativa. Questa volta si racconta una tragedia dimenticata: il 14 novembre 1951, l’argine sinistro del Po si spacca. La marea invade in pochi minuti le terre del Polesine, una delle regioni all’epoca più povere di tutta Italia. Vengono invase non solo le campagne, ma uno a uno tutti i paesi, fino alle città di Rovigo, Adria, Cavarzer: tantissime vittime e tantissimi sfollati. Non c’era la televisione, ma l’Istituto Luce, i cui archivi vengono ampiamente saccheggiati da Segre (con Rizzo, co-autore). E i bambini di allora, oggi vecchi che parlano quasi solo in dialetto, raccontano i loro ricordi, dominati dalla miseria prima ancora che dalla tragedia. Forse meno avventuroso e inventivo di altri doc di Segre (ma chiarezza e solidità non vanno affatto considerate concessioni), Po ha il dono di essere limpido e sentito.

MASTER – LA SPECIALISTA

Di cosa parla il film Master

Black Lives Matter Horror prosegue. Questa volta la storia riguarda la promozione a dirigente accademica di una professoressa nera, la prima del Campus, e i guai che affronta una studentessa che alloggia in una stanza maledetta (non si contano le sovrapposizioni col recente Seance). Al posto dei colpi di scena a buon mercato, la regista Marianna Diallo preferisce una tensione carica di malinconia e la consueta vena didascalica (per questa declinazione di genere, escluso il più imprevedibile Jordan Peele): è un tratto tipico della narrazione audiovisiva afroamericana, non trattandosi di retorica pedagogica bensì della necessità di exempla potenti su cui forgiare il discorso sull’identità. Il tema in questo caso è la sostanziale persistenza di razzismo e paternalismo nei confronti dei colleghi neri da parte della comunità degli accademici bianchi anche quando si credono progressisti. Peccato per un terzo atto scialbo e tirato via. Master sembra una versione dark della serie Netflix La ditettrice, ma qui siamo su Prime Video, a riprova di quanto i prodotti di “genere/politica” siano frequenti sulle piattaforme.