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Tag: Hallie Meyers-Shyer

RISCRITTURE E RE-IMMAGINAZIONI

ALIEN – PIANETA TERRA

C’era molta attesa per la prima serie dedicata alla saga di Alien, in versione prestige, specie perché come showrunner e dominus assoluto è stato scelto Noah Hawley, che di prestige se ne intende, vedi Fargo e Legion. E proprio alla complessità di quest’ultima guarda Hawley, con una storia spiazzante che, se da una parte paga il giusto tributo alle scene di caccia predatoria che tutti desideriamo, dall’altra costruisce una pensosa architettura su esseri artificiali, specie aliene, multinazionali spietate, in stato di guerra e turbocapitalismo permanenti. Sinuoso, violento, ricco (anche di budget), è il primo tassello di una narrazione futura molto promettente. I bambini nel corpo di adulti sintetici sono inquietanti, riuscendo a dire qualcosa di noi e del nostro infantilismo guerrafondaio.

LA FIDANZATA

Lo diciamo troppo spesso? Sì, lo diciamo troppo spesso. Ma guilty pleasure è una categoria talmente precisa (con il non secondario vantaggio di farti sentire meno in colpa) da permetterci di ignorare i rischi di retorica. Come avrete capito, La fidanzata è una sciocchezza immane, che però funziona come un pistone inarrestabile, perché riesce a intensificare gli stereotipi più oppositivi (l’amore tra il bel riccone e la povera arrampicatrice; una mamma con il complesso di Giocasta e un figlio che ne sfrutta l’affetto; la love story piccante e il crime che si fronteggiano) fino a scatenare una centrifuga di panni colorati da guardare con spasso. Lode a Robin Wright, che da regista lascia a sé stessa attrice un ruolo di rara odiosità.

IL PADRE DELL’ANNO

Un film a dir poco famigliare. Non solo perché tratta di padri e di figli, di relazioni e di invecchiamento, di paradossi anagrafici e di equilibri affettivi, ma anche perché la regista Hallie Meyers-Shyer è figlia di due volpi della commedia americana come Nancy Meyers e Charles Shyer. Inevitabile pensare a un rispecchiamento poetico e produttivo, in cerca – a ben pensarci – di un cinema che non c’è più. Con tutta la simpatia che questo contesto evoca, va però detto che siamo lontanissimi non dico da James L. Brooks (sarebbe un confronto ingeneroso) ma anche da certi umanesimi lievi e coinvolgenti proposti dal cinema di mamma e papà (penso in particolare a gioielli come È complicato, 2009, di Meyers, o Alfie, 2004, di Shyer). Qui è tutto degno e lieve, sia chiaro. Ma la dinamica padre/figlia appare rinunciataria, la figura della ex moglie troppo strumentale, il lavoro sul corpo attoriale di Michael Keaton più pigro di quel che sembra.

ALPHA

Julia Ducornau si conferma regista di pregio anche se con un film interlocutorio. Molto più “ingestibile” peri i gusti del pubblico di Coralie Fargeat, Ducornau ci offre uno dei più potenti e allegorici film sull’AIDS che si siano visti. Con una struttura temporale spiazzante (visto che si intreccia su un sistema che già di per sé confonde la realtà narrativa con le visioni oniriche della protagonista), Alpha mira alla gola a trascina con sé tutti i personaggi – a cominciare dallo zio tossico interpretato con inquietante, nervosa magrezza da Tahar Rahim. In più, inventa un’iconografia virale che prosciuga il body horror liquido e lo rende a sorpresa pietroso. Purtroppo, Ducornau perde il controllo sull’intero progetto poetico nell’ultima parte, dopo la scoperta del “mistero”: la spiegazione delle metafore e la moltiplicazione dei finali indebolisce e persino rischia di negare quanto visto fin lì. Ma che autrice, diamine.

ALL OF YOU

Certo, non è sbagliato chiedere al grande schermo di riprendersi lo scettro della rom com. Ma se il risultato è il velleitario Material Love, difficile poi lamentarsi con le piattaforme che le fanno con lo stampino. Talvolta, poi, funzionano. Tipo questo All of You di Apple, che valorizza due attori capacissimi e apprezzati da pochi (Brett Goldstein, anche co-sceneggiatore, e Imogen Poots) con un piccolo gancio fantascientifico (il software per l’anima gemella) che aggiorna la stessa domanda sentimentale: esiste la persona perfetta per noi? Con sprazzi di amarezza inedita e dialoghi brillanti, il gioco è fatto. Non è metafora di nulla: è solo un autore, William Bridges, che sa il fatto suo senza strafare.

LA PHOTO RETROUVÉE

Il vincitore del bellissimo festival Archivio Aperto 2025 viene dalla Francia e dall’idea straordinaria del regista Pierre Primetens. Non disponendo di immagini della sua infanzia e della sua famiglia, se non una foto della mamma il giorno del suo matrimonio, Primetens interroga la propria memoria attraverso un enorme archivio di home movies e immagini amatoriali di altri. Fa sì, cioè, che i ricordi si alimentino con il carburante dell’altrui “cinema privato”. Arrivando a delineare un quadro doloroso e struggente di una famiglia complicata e di un padre problematico. Un film sui traumi giocato con la tenerezza e il rispetto verso un deposito di memorie audiovisive. Offrendo alla madre un ruolo da protagonista che almeno al cinema merita di fronte alla “cancellazione” che ha subito.

TUTTO WOODY ALLEN

Bella iniziativa congiunta di Minerva Pictures, Filmclub Distribuzione e Rarovideo Channel, che hanno scelto di riportare in sala nove dei suoi film meno classici in occasione del compleanno dei 90 anni (in effetti si intitola Woody 90). Il tutto mentre esce anche in Italia il suo primo romanzo. Partita con il ventennale di Match Point (a proposito: potenza drammaturgica intatta), la rassegna promette molto bene, anche perché illustra proprio il Woody contemporaneo che è stato tante volte sbertucciato dai cinefili. Varranno una seconda visione almeno il piccolo e irresistibile Accordi e disaccordi, il verbosamente esilarante Pallottole su Broadway, la mortuaria parodia bergmaniana del favoloso Harry a pezzi, oltre che il sottovalutato e velenoso Celebrity, assai attuale.