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Tag: Ti West

QUESTA NON È VENEZIA

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

MAXXXINE

La conclusione della trilogia avviene in forma di trip cinefilo e videofilo intorno agli anni Ottanta, con un tono a metà tra Bret Easton Ellis e Ryan Murphy. Decisamente meno affascinante degli altri due, si sostiene attraverso il personaggio di Maxine e il magnetismo “moccioso” di Mia Goth, vero, corporeo punto di equilibrio di tutta l’operazione. Non bisogna dare troppo peso alle citazioni (da Schrader a Polanski passando per Hitchcock), o piuttosto considerarle parte di quell’atteggiamento postumo del “post(u)moderno” recente, nel quale non ci sono più relazioni dirette alla storia del cinema ma evocazioni archivistiche di un passato ridotto a set turistico – come qui la casa di Psyco.

TRILOGIA DI TI WEST

E qui ci riferiamo invece al bilancio dell’intera trilogia. Riuscita, in generale, anche solo per l’idea di una “collazione” piena di rimandi e reticoli interni (bene vederli tutti in fila) in forma d’autore. Ti West è troppo scanzonato e appassionato del genere per adottare le linee “arty” del prestige horror A24 e quindi procede a un lavoro sul canone che – se preso sul serio – farebbe acqua ma che – se preso comprendendo il grado di masquerade carnevalesca emulativa – funziona benissimo. Mia Goth è corpo assoluto e co-autrice di un doppio ruolo brutale, ma ciò che conta (pur senza eccedere in sociologismi) è il triangolo (ehm) sesso/morte/spettacolo che West considera spettrometro della sua visione dell’America rurale e urbana. Pearl si distingue per originalità e compattezza dell’american gothic ma X è il capitolo più genuinamente e spassosamente gore/core.

L’INNOCENZA

Di Kore’eda bisognerà pur cominciare a dire che stiamo assistendo in diretta alla costruzione e conferma di un maestro del cinema contemporaneo in grado di rivaleggiare con i classici. Di straordinario (nel senso proprio di fuori dalla consuetudine del cinema d’autore) ci sono domande umanistiche ed esistenziali poste nella maniera più alta e più giusta, senza dimenticare di interrogare il mezzo cinematografico e le sue forme. Facile a dirsi. Ma Kore’eda è tra i pochi a sapere come fare: per esempio arrischiare una narrazione “a meccanismo” e poi erodere ogni schematismo attraverso la flagranza della messa in scena e la forza contraddittoria dei personaggi (in tutt’altra direzione, anche Farhadi fa la stessa cosa, lambendo la manipolazione narrativa e svuotandola dall’interno). Finale struggente che sarà difficile dimenticare.

INVELLE

Anni di lavoro, di disegni, di cura maniacale, di tratto, di forma, di segno, di limatura, per arrivare a uno dei più grandi film italiani (non solo di animazione) di questi anni. Simone Massi capitalizza la sua intera, gloriosa carriera nel modo giusto e trova il miracolo di un lungometraggio che ha molto da dire della dinamica italiana tra mondo contadino e storia del dopoguerra e tutto da dire quanto a innovazione stilistica: è qui, infatti, che – senza temere di essere impegnativo per lo spettatore – Massi immerge il suo disegno b/n in un flusso inarrestabile che sembra far gemmare una forma da un’altra, dal dettaglio al totale, dal piccolo al grande e viceversa, senza un momento di stasi, creando una sorta di panta rei che sinceramente non avevamo mai visto (immagini che sorgono e sgorgano l’una dall’altra, sconfinando in quella successiva, negando la fatica stessa del lavorarle separatamente; come a dire che questo è il cinema nella sua natura essenziale).

IT ENDS WITH US

Se proprio, per accogliere la natura dei tempi che corrono, dobbiamo rispettosamente accettare che la contemporaneità abbia bisogno di racconti didascalici (Barbie, Povere creature!, C’è ancora domani), almeno pretendiamo che siano interessanti, come i tre citati. Qui no. Inoltre, c’è un problema allo stato pre-interpretativo: si può procedere a interpretazione critica se i livelli minimali di presentabilità di un prodotto in sala sono irricevibili (dalla sceneggiatura alla recitazione, dai totali ai primi piani, dal montaggio al suono: tutto è amatoriale)? Fatta questa premessa, il film di Justin Baldoni è un classico caso per cui il compitino contro la mascolinità tossica è gestito in maniera così grossolana e controproducente (vedi il trauma infantile del marito violento: ma stiamo scherzando?) che entra nella lista dei titoli da sconsigliare alle scuole e da vietare ai giovani futuri adulti.

BLINK TWICE

Didascalismo parte due. Ma un po’ meglio. Zoe Kravtiz esordisce dietro la macchina da presa con un apologo horror contro il patriarcato uber-capitalista, raccontando di un’isola edenica dove le donne “dimenticano” le violenze subite giorno dopo giorno. Chiara come il sole la metafora sulla cancel culture (ed è la cosa migliore), tanto quanto l’attacco alla corruzione tossica del maschio bianco ricco (e qui le cose sono decisamente più banali). Si aggiunge una confusione stilistica evidente e un caotica frenesia di toni (dal raccapriccio all’umoristico). Comunque meglio errori vitalistici e di eccesso piuttosto che il moralismo soap a tavolino.

LA VITA ACCANTO

La vita accanto - Film (2024) - MYmovies.it

Pluri-autorialità in conflitto. Marco Tullio Giordana, esperto in racconti dal forte intento civile e dall’afflato storico, si ritrova a gestire un dramma psicanalitico famigliare sceneggiato insieme a Bellocchio. Di conseguenza, per tutto il film, lo spettatore scopre via via la coerenza con la filmografia bellocchiana ma nota l’assenza dello stile astratto e simbolico del regista emiliano – che avrebbe scosso il pesante allegorismo del racconto per trasformarlo in un presepe famigliare da incubo. Solo la generosità delle interpreti (sugli uomini meglio tacere, persino Paolo Pierobon soccombe) riesce ad evitare lo scult dietro l’angolo.

THE BEAR 3

Non facile costruire un’intera stagione sulla stasi. Volontariamente, cocciutamente, Christopher Stoner e il team creativo decidono per un’annata meta-narrativa dove succede pochissimo e il materiale stesso rimane congelato come il protagonista Carmy. Il passato si fa ossessione, il futuro non c’è (perché non c’è nel capitalismo ansiogeno rappresentato dalla ristorazione), e il presente è un labirinto di schegge, come al solito esemplarmente raccontato dal montaggio atomizzato e dagli ingredienti che vanno provati e riprovati. Evidente, ma piacevole, il parallelismo tra cucina e set, tra piatto e sceneggiatura. E comunque, quando si presenta un episodio 6 come quello che trovate in questa terza stagione, non si può che voler bene a The Bear.

PRISMA 2

Se c’è uno showrunner che non ha nulla da invidiare ai migliori colleghi statunitensi e britannici, questo è Ludovico Bessegato. E se Skam sta cominciando a mostrare la corda per aver voluto a ogni stagione individuare un problema teen specifico, Prisma ne è l’evoluzione più convincente. In questa seconda stagione, Bessegato – dopo aver posto le basi – si sente libero di fare quello che vuole, e srotola uno stile-acquario, immersivo, dove avvenimenti, voci, volti, amori, litigi, tabù, vengono armonizzati in un potente flusso formale e musicale (per una volta, ottime scelte, non da playlist algoritmica). Al fondo, rimane comunque il segreto vincente dei primi Skam: questi ragazzi hanno qualcosa da dire, scelte da fare, identità da scoprire, e tutta la vita davanti, al contrario dei cinquantenni stanchi e imborghesiti del cinema italiano, di cui non ci frega quasi mai un tubo.

HOUSE OF THE DRAGON 2

Siamo certi che non sia facile creare progetti paralleli a partire da una grande narrazione primaria e archetipica come quella del Trono di spade. Bisogna infatti trovare un equilibrio instabile tra fan service e innovazione. Equilibrio che nemmeno questa seconda stagione trova (anzi, aveva più vivacità intellettuale la prima). Troppo parassitario il rapporto narrativo e iconografico con il capostipite e troppo legnose le contrapposizioni tra casate e pretendenti per raggiungere la temperatura epica indispensabile alla riuscita della saga. E, pur essendo una serie ad alto budget, permane la mediocrità degli effetti speciali quando ci entrano in scena i draghi, questione irrisolta del fantasy televisivo.

PICCOLI PIACERI ESTIVI

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. 

X: A SEXY HORROR STORY

X - A Sexy Horror Story: A24 omaggia i film slasher degli anni '70  [recensione] | Anonima Cinefili

Porno e horror. Sulla carta il furbacchione Ti West, assistito dalla produzione al solito raffinata di A24 (una delle poche a imporre un marchio negli ultimissimi anni), l’ha pensata molto bene. La solita storia di un van che finisce nella parte sbagliata dell’America profonda, con la variazione del vintage a luci rosse (essendo i protagonisti impegnati nella realizzazione di un film hardcore), funziona sempre, specie se gli anni Settanta restano come modello forte. Detto questo, gli entusiasmi eccessivi che ha suscitato probabilmente dicono molto della crisi ormai pluriennale che sta subendo l’horror mainstream (ma l’indie horror sta poi tanto bene?). In ogni caso stile e iconografia funzionano, con alcuni momenti e punti di forza decisamente solidi (l’alligatore, Mia Goth, gli omicidi). Se non dobbiamo per forza prenderlo come un horror sui geenris ma esattamente come un horror routinario con idee originali, dà più gusto.

THE STAIRCASE

The Staircase

Meta-serie che contiene anche il famoso documentario che fu girato al proposito. La “storia vera” e il true crime stanno diventando uno dei luoghi di sperimentazione più interessanti della serialità contemporanea. Antonio Campos come showrunner lavora in maniera meticolosa e sinistra sul personaggio (ambiguissimo, anche grazie a una performance strepitosa di Colin Firth) e sulla struttura, moltiplicando – senza esagerare – punti di vista, ricostruzioni, linee temporali. Certo, quando si hanno a disposizione, oltre a Firth, anche Toni Collette, Juliette Binoche e il magnifico Michael Stuhlbarg, per rovinare il piatto ci vorrebbe davvero una mediocrità assoluta. Per fortuna le cose non stanno così, e Campos ci conduce fino in fondo a una non-verità, concetto che si sta trasformando forse nel monstrum filosofico della nostra contemporaneità – incapace di trovarla e ormai alle prese con la crisi di ogni certezza condivisa.

SHINING GIRLS

Shining Girls serie TV: dove vederla in streaming | Silmarien.it

A dir poco controversa l’accoglienza di questa serie Apple+. Pensandoci a lungo dopo la sua conclusione, si può dire che fa parte degli adattamenti un po’ involuti tipici di questa piattaforma (pensiamo all’autorialissima Storia di Lisey) ma che ha una storia molto potente dalla sua. L’idea di una ur-tossicità femminicida del maschio nei secoli, tra thriller e fantascienza, colpisce e stordisce più volte. Bisogna però sopportare una serie di linee narrative confuse e un rifiuto quasi testardo di prendere una strada tematica e stilistica precisa. Comunque, il tutto viene al solito caricato sulle spalle di e da Elizabeth Moss: qualcuno comincia a storcere il naso per la continuità con cui assume ruoli di vittima del patriarcato e della violenza maschile. Ma, ruotando il prisma, ecco una “politica dell’attrice” incredibilmente lucida, che fa dialogare i ruoli tra di loro e gioca sempre con il fantastico perturbante. Un corpo contemporaneo importante.

ELVIS

Elvis: il Re del rock'n'roll nel biopic di Baz Luhrmann. Nel cast anche Tom  Hanks. [recensione] | Anonima Cinefili

Due righe: e se Baz Luhrmann fosse uno di quegli autori che ha inventato un mo(n)do cinematografico per poi sembrarne l’imitazione?

THOR – LOVE AND THUNDER

Thor: Love and Thunder" è un film sgangherato ed estenuante - Fumettologica

Due righe: e se la quarta fase della Marvel fosse l’inizio del declino? Troppo presto per dirlo. Ma troppo tardi per sopportare questo Thor/Lebowski che fa caciara persino sul cancro.