Visioni Riflessioni Passioni

TEMPI E CORPI ALLA FINE DEL MONDO

LA MAMAN ET LA PUTAIN

L’istante in cui la Nouvelle Vague si volse al nero. Un’epopea di parole e sesso, dentro poche stanze e un paio di bistrot, che comincia come una ronde amorosa con la gioia di inizio anni Sessanta e finisce con le schegge della disperazione dei primi anni Settanta. Impastato di vita, corpi e infelicità (Eustache si suicidò otto anni dopo, e il film stesso nasce da event luttuosi), il capolavoro si conferma tale, inquadratura per inquadratura (da rivedere su grande schermo a tutti i costi), con un bianco e nero che diventa sempre più pece man mano che avanza. Un film contro la filosofia del piacere culturale (chissà se Léaud capiva, recitando, quanto il suo personaggio fosse pessimo e idiota), dentro un cinema inventato da altri ma rivoltato come un calzino, indossato come guantone e sferrato come un pugno in faccia allo spettatore romantique.

DISCO BOY

Imponente esordio per un cineasta italiano non giovanissimo (40 anni), Giacomo Abbruzzese, che mette insieme una storia post-coloniale e internazionale che si svolge tra l’est europeo perduto nel populismo periferico (Bielorussia, Polonia), dentro una Francia razzista e guerrafondaia, prosegue nel Delta del Niger in guerra mistica, per finire di nuovo a Parigi tra i fantasmi africani. Film politico se ce n’è uno, con alcune idee che non dispiacerebbero a Carax (la lotta mortale fatta di infrarossi), capace di dire qualcosa di possente sull’Europa crocevia di disperati tra i quattro punti cardinali della civiltà. Citazioni evidenti dalla Claire Denis di Beau Travail. E premio meritatissimo a Berlino 2023 per la fenomenale Hélène Louvart alla fotografia.

LE MURA DI BERGAMO

Per “celebrare” i tre anni dall’inizio della pandemia, non ci sono solamente dibattiti e indagini giudiziarie. C’è anche il lacerante documentario di Stefano Savona, girato sia durante i momenti peggiori del 2020 in Lombardia sia nel dopo-virus (o quasi) mentre il tessuto urbano e umano devastato dal Covid cerca di elaborare il lutto. Peccato che il lutto sia stato solo rimosso; anzi il film riapre giustamente la ferita, ricordandoci che in quelle settimane assistemmo muti a forme di eutanasia, di selezione genetica, di strage, di annientamento dei corpi in una fiammata scioccante che – oltre a cancellare dalla faccia della terra migliaia di anziani – causò per sempre ferite a coloro che certe decisioni le dovettero prendere, abbandonati dal “sistema”. Ma anche un doc sincero e umano su come ricucire, come prendersi cura della memoria e in fondo perdonarsi. Sarebbe un peccato non vederlo solo perché non si ha voglia di ricordare, o – peggio – pensando a un dramma locale. “Tu non hai visto niente, a Bergamo”.

THE LAST OF US

Sarà anche per questo che ci è stato difficile appassionarci più di tanto al virus-videogame di HBO? Detta sinceramente: si tratta della miglior trasposizione possibile, e i due protagonisti sono a dir poco indovinati (Pedro Pascal è un attore limitatissimo, ma con quella faccia lì puoi trovare soluzioni espressive a qualsiasi gap tecnico; mentre Bella Ramsey è tutta la serie). Però, la ridondanza con Walking Dead, The Road (libro e film) e soprattutto Light of My Life di Casey Affleck pesa tantissimo nell’ovvietà delle varianti narrative. E non bastano i registi prestige del cinema d’autore internazionale (Jasmila Žbanić, Ali Abbasi) per alzare l’asticella, specie in episodi dove il body count trascende ogni vaga verosimiglianza, senza il coraggio di entrare in una modalità davvero visionaria. Comunque sono noticine un po’ severe di cui nessuno udirà lo stridio, visto il consenso amplissimo che come un’onda ci trascinerà alla seconda stagione.

SCREAM 6

Ultimamente ho ripreso ad andare in birreria. Non ne avevo troppa voglia, convinto di ritrovarmi gomito a gomito con un 99 % di persone troppo giovani. Poi – vinta la ritrosia – ho scoperto che nei pub dove andavo ci sono ancora quelli della mia età, che non hanno mai smesso, cui si sono aggiunte tutte le altre generazioni (come i cerchi nel tronco dell’albero). Ecco, Scream VI è la birreria: ci sono i reduci dal postmoderno anni ’90 che cercano d ritrovare Craven, quelli successivi che se ne fregano delle citazioni ma sono affezionati lo stesso, quelli di oggi che ci vanno per Jenna Ortega e per vedere un horror con due final girls non americane, e così via. Tanto Ghostface è solo una maschera, e sotto ci siamo noi a divertirci. Il più stretto rapporto tra domanda e offerta del cinema contemporaneo: nessuno pretende più di questo.