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TORINO FILM FESTIVAL 2020 – PRIMA PARTE

Molto importante la selezione che TFF ha messo in piedi per la versione integralmente online del festival, una manifestazione pensata per essere almeno in parte svolta in sala e poi bloccata dal decreto che ha chiuso le sale cinematografiche. Essendo uno dei festival italiani più “esperienziali”, nei quali almeno tre generazioni di cinefili hanno racconti e ricordi legati a quei portici e a quel centro storico (ma non solo), la versione in streaming non può che suscitare dibattiti sul suo svolgimento. Ma è ovvio che l’augurio è che si tratti di una sola, irripetibile, edizione.

Intanto, però, gli accreditati e gli abbonati hanno di fronte un’offerta davvero sorprendente e piena di anteprime. Il sottoscritto ha cercato (lo ribadiremo nel secondo pezzo dal festival) di pescare le cose più intriganti a partire dai contenitori. Quindi quasi nulla del concorso – che meriterebbe tempo e concentrazione che chi scrive non possiede – e invece via libera alle sezioni collaterali, a cominciare dalle Stanze di Rol, dedicato a generi ed emozioni forti, curata da Pier Maria Bocchi. Qui si vedono cose varie e decisamente divertenti: il molto chiacchierato horror The Dark and the Wicked di Bryan Bertino (che si conferma un creatore di atmosfere malate e inquietanti ma un mediocre scrittore, specie dei terzi atti e dei finali), il prevedibile Lucky psico-thriller “stalking” di Natasha Kermani, il simpatico Fried Barry di Ryan Kruger (versione sordida e fisiologica del Fratello da un altro pianeta di John Sayles), Breeder di Jens Dahl, ritorno non irresistibile del torture porn con qualche sorpresa nella psicologia della protagonista.

Ma il genere è presente di infilata anche in altre zone del programma, come nel caso di Calibro 9 di Toni D’Angelo, che si ispira direttamente al quasi omonimo capolavoro di Fernando Di Leo e prova a testare il funzionamento del poliziesco urbano italiano nell’estetica contemporanea – con risultati alterni, e una sensazione di gioco più che di adesione profonda. E il ritorno in versione finalmente integrale di Avere vent’anni proprio di Di Leo è un piacere. Il film si conferma ancora oggi “ingestibile” e probabilmente irricevibile nel contesto ideologico di oggi. Da una parte la libertà sessuale di Gloria Guida e Lilli Carati è un correlativo oggettivo dell’UFO cinematografico di Di Leo, dall’altra il finale sensazionalistico, programmatico e sadico sinceramente non deve piacerci per forza solo per motivi di cinefilia da “kings of the B”.

Nella sezione in cui era ospitato – “Back to Life” – si vedono chicche eccezionali, come la grande sorpresa del festival per quanto mi riguarda, Il nero di Giovanni Vento. Non solo un film intriso di new american cinema e di incredibili cortocircuiti tra estetica cassavetesiana e realismo sociale italiano, ma anche un documento storico per la presenza così anticipata e sentita di attori e personaggi neri di seconda generazione. Strepitoso, se ne dovrà parlare a lungo, possibilmente non solo ai convegni sul post-colonialismo e la diversity.

La produzione italiana oscilla decisamente. Film di registi perbene come Francesco Lagi sono intimisti fino all’impalpabile (Quasi Natale), altri sono commoventi per il cuore cinematografico che ci viene buttato dentro (il ritorno viscerale di Antonio Capuano con Il buco in testa), molti documentari sono legati agli anni della contestazione (certamente 1974 1979 che per una volta dà voce alle vittime del terrorismo, ma anche a modo suo l’avvincente doc su Goffredo Fofi e la sua avventura intellettuale, ancorché inspiegabilmente girato in bianco e nero nelle parti di intervista casalinga) o di esplorazione antropologica (per i bolognesi immancabile San Donato Beach di Fabio Donatini, tra malinconia bruciata dal caldo e repertorio di musica italiana usato in felice contrappunto alle stramberie post-industriali del quartiere multi-etnico).

Poi ci sarebbe da parlare di Paul Vecchiali (salutato da applausi udibili persino online, forse un filo esagerati ma guadagnati sul campo), o di Cecilia Mangini (chi aveva potuto già vedere Due scatole dimenticate ne conosce l’emozione) ma il tempo è spirato. Altra infornata a breve.