Visioni Riflessioni Passioni

TORINO FILM FESTIVAL 2020 – SECONDA PARTE

Seconda e ultima incursione nel TFF 2020, interamente online su MyMovies. Ancora una volta mi sembra che i generi e le riflessioni sul cinema siano state le cose più interessanti della selezione. Il territorio più vivace, come previsto, è stato la sezione Stanze di Rol, dove si sono aggiunti titoli particolarmente sorprendenti. Il primo di questi è Funny Face di Tim Sutton, che mi aveva decisamente irritato con Dark Night, pieno di allusioni e inconcludenze, giocato sui prodromi di una strage fuori campo; questa volta la dimensione della solitudine si impone grazie a un lavoro sulla rappresentazione urbana straordinario, e a posteriori dona qualche interesse in più anche al precedente, continuando una sorta di discorso sulle scorie suburbane dell’immaginario eroistico, e diventando di fatto una lacerante riflessione su New York (il monologo in automobile sui Knicks è da antologia).

Sempre in questo spazio, una certa simpatia suscita The Oak Room di Cody Callahan, post-noir a racconti incastrati, che piace per come sfrutta un budget quasi “zero” e la riflessione sul narrativo. Siamo dalle parti del postmoderno anni Novanta (non ci saremmo affatto stupiti di trovarlo a un TFF di un quarto di secolo fa) ma ciò non vuole dire che siamo fuori tempo massimo: in fondo il recupero di quelle forme meta-testuali e meta-genere può cominciare serenamente ad essere considerato retro-gusto di qualità.

E finiamo la sezione con Philosphy of Horror, certamente il più originale: Péter Lichter e Bori Máté si ispirano al famoso testo di Noel Carroll e lo trasformano in una ricerca visuale più simile a un intervento artistico che a un video-essay, di cui comunque assume alcune posizioni critiche lavorando sulla grana di due film della saga di Nightmare. A suo modo un found footage con scarabocchi e scratch che può abitare contemporaneamente nell’archeologia nei media, nell’analisi accademica dei film o nel dadaismo amatoriale.

Sempre di genere parliamo con l’omaggio a Carlo Ausino e il ritorno di un film non rarissimo (c’è anche su YouTube, per dire) ma tosto come Torino violenta. Circondato da una disistima critica poco giustificabile, rivisto oggi si conferma un poliziottesco di rovinoso nichilismo, con un’aria rozza e quasi punk che lo scenario urbano esalta. Assolutamente godibile. E visto che al TFF abbiamo visto un po’ di tutto, non è mancato nemmeno il porno. D’autore s’intende; anzi d’autrice, visto che Un dernière fois è diretto dalla militante dell’X-Rated femminista come Olympe de G., che recupera una star dell’erotismo ora ultra 65enne, Brigitte Lahaie, e la rende protagonista di un discorso tra eros e thanatos sulla sessualità in vecchiaia. Non ho mai ben capito come si deve fruire un porno intellettuale, ma sicuramente in questo caso entrambi i termini sono esplorati fino in fondo.

Delle altre visioni massicce e un po’ trafelate voglio ricordare giusto Camp de maci di Eugen Jebeleanu, ennesima conferma del cinema rumeno (che evidentemente si autoalimenta anche grazie allo stimolo reciproco tra cineasti), dove tutto si svolge in una sala cinematografica. Il tema è l’omosessualità repressa di un poliziotto che interviene per una violenta protesta omofoba che sta avvenendo in un cinema. La sala è un pretesto? Fino a un certo punto.

Infine, anche se aspettiamo di vederlo su grande schermo (viva lo streaming ma a tutto c’è un limite), segnaliamo la presenza del restauro 4K di In the Mood for Love. La riedizione è stata realizzata dal laboratorio l’Immagine Ritrovata di Bologna e da Criterion, con la supervisione del regista cinese e della colorist Calmen Lui che già nel 2000 fece la posa del negativo originale. Come sempre per tutto quello che fa Wong, anche il restauro è durato un sacco, oltre cinque anni, e sarà distribuito in Italia da Tucker Film all’interno di un progetto più ampio dedicato a Wong Kar-wai che prevede anche i restauri di Hong Kong ExpressFallen Angels e Happy Together distribuiti sempre dalla stessa casa.