Visioni Riflessioni Passioni

ASSEDI E FUGHE CINEFILE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

LOVE LIES BLEEDING

Nel catalogo del “lynchano” può anche starci un noir al femminile che cita il lessico del maestro (dalle strade perdute ai crateri facciali di Eraserhead) e lo abbandona per altri lidi. Rose Glass è un’autrice un po’ accademica, e il rischio con i suoi film è che si veda sempre in filigrana l’aspetto analitico, con qualche perdita nel campo del romanzesco. Tuttavia, tra corpi scolpiti di una queerness sincera e un pulp che ama costeggiare il fantastico, Love Lies Bleeding trova una sua cifra cruda, in particolare nell’avventura sentimentale di due giovani donne radicalmente estranee al mondo. E se sullo sfondo ci sono davvero Thelma e Louise, è solo per deformarne il ricordo con graffiti sovrapposti e un cadavere (squisito) nel bagagliaio.

CAMPO DI BATTAGLIA

Sotto l’aria vetusta di un drammone da sceneggiato italiano, batte l’esatto opposto. Il miglior Amelio da anni inietta nel formalismo inquietudine morale e indignazione storica pescando dall’inferno della Prima Guerra mondiale e dai suoi effetti. Inno alla diserzione tutt’altro che scontato, Campo di battaglia fin dal titolo spiega di un cinema di conflitti “imprigionati” – o ospedalizzati – perché non li vogliamo vedere. Ed è interessante come il tema del virus (la Sapgnola) e le sue evidenti analogie con il Covid vengano ribaltate: la pandemia di oggi ci serve a comprendere che cos’è successo allora, e non viceversa.

SPEAK NO EVIL

Remake americano dell’horror danese che ha avuto un certa fortuna (chiamarlo cult sarebbe davvero troppo) negli scorsi anni. Per tre quarti si tratta di un rifacimento quasi in fotocopia, compresi movimenti di macchina, scenografia, stile. Poi – senza fare spoiler – cambia completamente l’assunto di base con un’ultima mezzora oppositiva rispetto all’originale. Si tratta di un caso piuttosto raro ma indicativo: ci si “ribella” al nichilismo del capostipite e si offre al pubblico mainstream più violenza purché più “consumabile”. Il tutto funziona solidamente, anche se perde in parte il lato di riflessione sociale.

LINDA E IL POLLO

Quando l’autrice italiana Chiara Malta ha spiegato che la sua influenza principale è stata il Peter Bogdanovich di Ma papà di manda sola? abbiamo esultato in molti. Il cinefilo, infatti, oltre a immergersi in un’animazione fatta a straordinarie macchie di colore, viene stimolato dall’azione comica (e malin-comica) dove il disastro consegue a un’assenza, e la furia umoristica procede dopo un lutto. La comicità slapstick, animata o meno, è sempre una reazione a un vuoto, forse alla paura stessa della morte. Linda e il pollo capisce tutto questo e lo serve sul piatto con grande affetto: a costo di sacrificare l’incolpevole pennuto.

LIMONOV

Probabilmente nessuna catastrofe cinematografica scalzerà Limonov dalla vetta di peggior film del 2024. Caso esemplare di adattamento scriteriato (e dire che ci si sono messi Pawlikowski, oltre al regista e alla consulenza dello stesso Carrère). Eppure, sembra quasi del romanzo sia stato spremuto via tutto quel che c’era di potente e controverso per dare spazio ai lati più sordidi e inconcludenti del protagonista. Il vitalismo esasperato di Kirill Serebrennikov diventa qui qualunquismo psicologico, del resto irrelato al personaggio originale. Quel che è peggio, poi, si annusano riferimenti alla Russia putiniana tutt’altro che ostili o quantomeno volutamente ambigui.

REBEL RIDGE

L’unanimità delle reazioni (“incredibile, c’è un buon thriller su Netflix”) fa capire quanto basse fossero le attese e quanto discretamente si sia comportato il regista Jeremy Saulnier. L’evidente riferimento al primo Rambo – come noto totalmente diverso dai seguiti – è un merito cinefilo, per di più rispettando l’assunto di Ted Kotcheff e del titolo originario: “first blood”, ovvero l’eroe non uccide nessuno. L’aggiornamento al clima “Black Lives Matter” non è né pedagogico né forzato, anzi offre, nel contesto di questa anonima provincia americana, informazioni importanti sulla difficile distinzione tra polizia e milizia privata e sul razzismo bianco molecolare da small town. Non facciamone più di quello che è, ma almeno si intravede un tipo di cinema che si pensa come tale.

THE PERFECT COUPLE

Guilty pleasure? Rischia di non esserci il pleasure. La serie diretta da una sempre più irriconoscibile Susanne Bier (a proposito di smontaggio delle autorialità) ruota intorno al classico godimento crime verso i guai morbosi delle famiglie ricche e potenti. Si tratta di una formula Agatha Christie immersa nell’acido di uno stile survoltato con un cast cui è chiesto di recitare come in una soap. A salvare il tutto dovrebbe essere una meta-ironia di base dove non solo la serie processa sé stessa con dialoghi ammiccanti ma ci si concedono svolte narrative assurde con leggerezza, quasi a dire “sì, lo sappiamo che non ha senso, e proprio perché lo sappiamo dovete divertirvi con noi”. Solo che in mezzo a questo intento cervellotico e incasinato ci si diverte pochissimo.

BREVISSIME ITALIANE

Sono usciti anche, nell’anonimato e con risultati molto bassi al box office, alcuni titoli nazionali: Quasi a casa parte da una bella idea (il confronto tra un’aspirante cantautrice e una rockstar fuori di testa) senza riuscire a bucare il tetto di cristallo del tenero abbozzo; Taxi Monamour conferma la sensibilità di Ciro De Caro e di Rosa Palasciano, anche se la malinconica e sbilenca autenticità di storie e personaggi rischia di farsi imbrigliare da quello stesso minimalismo scelto come luogo del discorso; Anywhere Anytime ha un obiettivo apparentemente folle (rifare Ladri di biciclette nel 2024 con i migranti al posto dei poveri del dopoguerra) ma alla fine è il più limpido, il più sentito, il più nitido come messa in scena; Coppia aperta quasi spalancata ha il merito di stravolgere un po’ di strutture e giocare tra vero/falso, palco/fuori palco, poggiando sull’umorismo anarchico di Chiara Francini, ma il tema del poliamore diventa obsoleto, inerte, pedante; La scommessa e L’ultima settimana di settembre funzionano per motivi opposti (un po’ dark il primo, orgogliosamente tenero il secondo); Finché notte non ci separi è tutto quello che un talento come Pilar Fogliati non deve fare; Come far litigare mamma e papà è riempitivo da piattaforma capitato per sbaglio in sala (e come tale disertato). Il panorama sarà anche vivace, ma l’idea stessa che tutto questo cinema faccia a meno degli spettatori è preoccupante.