Visioni Riflessioni Passioni

FAR EAST FILM FESTIVAL 2020 – IL CASO Watanabe Hirobumi

Dopo la prima zingarata dentro il FEFF 2020 – ispirata a visioni anarcoidi e riflessioni estemporanee – oggi chiudiamo con la seconda e ultima incursione nella bellissima edizione online organizzata sulla piattaforma di MyMovies con i film retrospettivi. Oltre all’occasione di vedere opere a me conosciute di Im Sang-soo (The President’s Last Bang, sarcastica e raggelante ricostruzione dell’attentato al presidente/dittatore della Corea del Sud nel 1979, realizzato nel 2005 e ora già restaurato in versione non censurata) e di Hou Hsiao-hsien (Cheerful Wind, 1982, lieve, squilibrato e preziosamente indifeso), c’è stato modo di salutare il maestro Obasyashi Nobuhiko con la sua ultima mezza follia, le tre ore di Labyrinth of Cinema, girato prima di morire e summa della sua opera, un mix tra metacinema, Jodorowsky in salsa nip-pop, arte del collage e post-godardismo. Commovente nel suo assurdo e delizioso rifiuto di seriosità.

Per quanto mi riguarda, però, la vera sorpresa (e il vero bottino di conoscenza garantitomi dal FEFF) è il cinema di Watanabe Hirobumi, cineasta giapponese, capace di dirigere e prodursi i suoi film tipo ingegnoso e divertentissimo le cui presentazioni erano tutte un programma – un’inquadratura fissa tra Kaurismaki e Lynch dove ha presentato, con scenografia ironica e piena di oggetti sconnessi (tra cui ben due foto della nonna, icona-feticcio dei suoi film), ogni pellicola mantenendo un equilibrio perfetto tra aria sudaticcia e cortesia impeccabile.

I suoi film, in parte da lui stesso interpretati, stanno a metà tra cinema contemplativo contemporaneo e elementi comico-ironici non del tutto estranei a una tradizione “congelata” in stile Suleiman o Kitano. In I’m Really Good, il più tenero e meno sarcastico, le ore della giornata di alcuni bambini scorrono con immutabile monotonia salvo piccoli sprazzi di humour (l’arrivo di un venditore di libri ambulante che finisce involontariamente col diventare vittima degli stessi ragazzini che voleva truffare). In Cry il protagonista alleva maiali, mangia con la nonna e non fa null’altro per tutto il film salvo concedersi un film al cinema – dove vede proprio I’m Really Good – ma si addormenta. In Life Finds a Way, il più costruito, fa quasi una parodia del meta-film di un regista in crisi, ma i vuoti sostituiscono i pieni, mentre la salute fisica del protagonista va a farsi benedire per trascuratezza (la scena dal dentista è quasi insostenibilmente comica e sadica). In Party ‘Round the Globe, il personaggio-chiave – presente anche in altri film di questo strampalato “Watanabe Universe” – è Honda, che non spiaccica parola dall’inizio alla fine, mentre Watanabe lo incalza con monologhi senza senso e ragionamenti bizzarri.

Tutti in bianco e nero, questi film seducono perché anche quando la ricerca del personaggio “cool” o di un’ironia jarmuschiana orientale potrebbero sembrare troppo scoperte, il ricorso ai tempi morti e all’inquadratura fissa smonta con testardaggine ogni sospetto di astuzia. Il riproporsi inerme e trasparente delle azioni ripetitive di personaggi strutturano via via la nozione di tempo e la filosofia dell’autore, riuscendo a costruire per sottrazione di senso un’empatia non banale verso gli abitanti di questo Giappone insieme provinciale e mediatizzato.

Come scrive Matteo Boscarol “il discorso artistico/cinematografico portato avanti dai fratelli Watanabe (a Hirobumi come regista si affianca infatti quasi sempre nei suoi lavori anche il fratello Yuji, come autore delle musiche) [coinvolge] un po’ tutti i membri delle loro famiglie, che sembrano essere impegnati in queste produzioni dal tratto fortemente indipendente, quasi artigianale”. E ancora (citiamo perché concordiamo): “Bisogna un po’ essere dell’umore giusto per affrontarli e gustarli pienamente, abitano cioè quella zona abbastanza grigia ed indistinta che sta fra la riuscita artistica e il tentativo amatoriale. Detto questo, a lungo andare l’attenzione dello spettatore finisce per focalizzarsi inevitabilmente sull’immagine dell’inquadratura e tutto ciò che essa contiene”.

Continueremo a seguire anche in futuro questo regista e questa factory.