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Il caso “Cats” e il cinema come impresa

Prima fase. Annunciano un film tratto da Cats con un forte impiego di CGI, in modo da rappresentare al meglio il mondo dei gatti protagonisti del musical, senza ricorrere ai faticosi costumi usati sul palco. Prima reazione: sono sicuri di quello che stanno facendo?

Seconda fase. Esce il trailer. Talmente mostruoso che si fa fatica a credere che non sia un fake, o una parodia di qualche utente smart di Youtube. Invece è lui, Cats, pronto ad essere distribuito in migliaia di copie qualche tempo dopo. Seconda reazione: in che momento gli è parsa una buona idea?

Terza fase: dopo lo shitstorm che si abbatte sul trailer, il film esce, più volte rimaneggiato (persino a DCP distribuito: ritirato, rimesso a punto su color correction e altri dettagli, poi ridistribuito). Un disastro. Critici increduli, pubblico che se ne sta alla larga, e Razzie Awards assicurati. Terza reazione: what the fuck?

In buona sostanza, c’era un motivo se uno dei più importanti musical di sempre non aveva visto la luce dello schermo. Chi ha sfidato la sorte, e il buon senso, si è dunque scottato. Il ragionamento che interessa, però, è un altro. Pensiamo sempre che l’industria hollywoodiana sia fatta di analisti astutissimi, dotati di algoritmi infallibili, che propinano alle masse film di successo assicurato. Eppure, da quel mondo così furbo, è venuta un’idea talmente assurda che chiunque l’avrebbe sconsigliata fin dall’inizio. Bastava una telefonata alla casalinga di Voghera. Come è possibile che abbiano tentato di realizzare una cosa così sciocca?

L’insuccesso di Cats, insomma, è una buona notizia. Non per chi ci ha lavorato, ovviamente. Ma per noi come pubblico. Ci ricorda che l’impresa cinematografica è ancora ad altissimo rischio. Che i prototipi, talvolta, falliscono. Che anche gli universi, talvolta, falliscono. Che noi non siamo affatto destinatari afoni e eterodiretti. Solo nel 2019, sono andati male o malissimo: Hellboy, Dark Phoenix, MIB, Gemini Man, Playmobil, Tolkien e molti altri. Il pubblico ha sempre una scelta, e spesso la esercita. Hollywood – o quel che ne resta – non è seduta su una miniera d’oro, ma su un vulcano di idee al tempo stesso potenzialmente ricchissime e clamorosamente sbagliate. Spesso lo si capisce solamente dopo.