Visioni Riflessioni Passioni

RITORNI DI IMMAGINE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

QUEL GIORNO TU SARAI

Quel giorno tu sarai: la recensione del film di Kornél Mundruczó

Uscito nel Giorno della Memoria ma per fortuna in circolazione anche nelle settimane successive, il nuovo film di Kornél Mundruczó lo conferma e lo rafforza come autore estremamente importante del cinema contemporaneo. Strutturato in tre episodi girati in altrettanti piani-sequenza (a volte ottenuti con piccoli trucchi, ma non è ciò che importa), Quel giorno tu sarai possiede quel che si deve al ricordo e all’analisi cinematografica della Shoah, cioè un progetto poetico e narrativo degno di questo nome – altrimenti meglio astenersi, come avrebbe dovuto fare una buona metà dei titoli prodotti sul dramma degli ebrei negli utlimi vent’anni. Mundruczó, come sempre affiancato dalla sceneggiatrice, drammaturga e scrittrice Kata Weber (sorta di co-autrice dei suoi migliori film), parte dal ritrovamento di una bambina nei campi di sterminio da parte di alcuni soldati polacchi (in una prima parte straziante, dove i militari affranti scoprono ciocche di capelli incastrate nei muri fetidi di uno stanzone), prosegue con la ragazzina divenuta anziana e fragile, e si conclude con il nipotino che assaggia a scuola, sulla sua pelle, l’antisemitismo dei compagni tedeschi. Nulla viene esposto come una tesi: Mundruczó esplora lo spazio e la parola con gesto teatrale fuso nel cinematografico, e il fil rouge di corpo e identità rimane teso dall’inizio alla fine, spesso senza alcun tipo di consolazione. Un filo di speranza, alla fine. Ma con brividi che attraversano noi (e l’Europa intera).

STRINGIMI FORTE

Stringimi forte, di Mathieu Amalric. La recensione

Ottavo film da regista per Mathieu Amalric – quindi una carriera d’autore che non possiamo più considerare ancillare rispetto a quella di attore – e intrigante riflessione sulla rappresentazione del lutto. Non si può raccontare molto, di questa storia con alcune scoperte che – pur non avendo il carattere di colpo di scena – modellano la nostra comprensione delle azioni della protagonista. Di fatto, il viaggio fisico e mentale nel dolore inesprimibile di una donna, interpretata con la consueta sottigliezza e intensità dalla poliglotta Vicky Kreips, è anche una sfida cinematografica. La storia viene affrontata con alcuni strumenti precisi, tra cui la volontaria confusione tra soggettivo e oggettivo, la navigazione a sfioro di un potenziale coté fantastico, la frammentazione del tempo interiore, la valorizzazione di alcuni luoghi e paesaggi, la moltiplicazione delle funzioni musicali in sede di “narrazione sonora” (il pianoforte in particolare). Stringimi forte è un piccolo, degnissimo film, che sconta forse il calo di interesse della seconda parte, quando le carte vengono scoperte e tutta quella fertile ambiguità si incanala in una melanconica ballata sulla perdita e le sue conseguenze.

AND JUST LIKE THAT…

Avevamo bisogno di And just like that…?

Nessuno, a partire dal sottoscritto, si aspettava gran che dal ritorno fuori tempo massimo delle amiche di Sex and the City. Ma Michael Patrick King, e i suoi collaboratori (e HBO Max), sono autori e professionisti che sanno il fatto loro e quindi hanno astutamente immaginato la serie-sequel come un continuo processo di adattamento delle ex ragazze ora ultracinquantenni al nuovo mondo della cultura newyorkese accademica, intersezionale, fluida, categoriale. Guardando con ironia a questa negoziazione col tempo che passa, con lo spettro della morte, con le generazioni più giovani, con i media digitali, con identità sessuali che crollano e rinascono, con parole d’ordine ed equilibri sociali sempre più delicati, la commedia romantica si rifonda nella quality trovando un senso e una credibilità. La dimensione di classe, la nuova consapevolezza nei confronti del consumo fashion e del passato della moda (oltre che dell’età), il capitalismo colto di Manhattan, la disponibilità di soldi e appartamenti, l’appartenenza alla buona borghesia caritatevole, la cura maniacale dell’aspetto continuano ad essere al tempo stesso esaltati con sfacciata assenza di sensi di colpa e derisi dall’interno (e con loro il post-femminismo consumista del vecchio Sex and the City). Con momenti di scrittura quasi cukoriana, e altri più triviali, And Just Like That… non deve piacere a tutti, per carità, ma è quanto di più brillante ci sia nel contesto della comedy seriale oggi, anche grazie a un ensemble di attrici smaglianti e ironiche, trainate da una superba Cynthia Nixon.

YELLOWJACKETS

Ecco come finisce Yellowjackets: trama

Ormai tutto è meta-narrativo nella serialità frantumata contemporanea. Nella seria sviluppata per Showtime da Ashley Lyle e Bart Nickerson la base di partenza dell’incidente aereo (una specie di ossessione per le serie di oggi), poggia su alcune basi piuttosto evidenti. La prima è Lost, di cui sfrutta sia il meccanismo di flashback-flashforward (invertendo però il ruolo del tempo presente) sia l’incertezza narrativa todoroviana tra razionale e fantastico. In più, però, c’è la cultura cinematografica, che permette di accumulare pubblici: i nostalgici degli anni Novanta ritrovano icone come Juliette Lewis e Christina Ricci (stavolta nei panni delle adulte ultraquarantenni), gli altri si godono il teen survival in mezzo al bosco. Insomma, un gigantesco frullatore di schegge pop paragonabile a un buon robot da cucina. E alla fine Yellowjackets si presta a una visione distratta, in stile pop corn season one, non spiacevole – anche grazie a un volto forse meno noto ai più, Melanie Lynskey, ma già impagabile in Togetherness, Mrs. America e recentemente Don’t Look Up. Concludiamo con un commento condito di spoiler. Capisco che si guardi già alle prossime stagioni, e proprio da Lost in poi siamo avvezzi a ogni tipo di frustrazione rispetto a risposte che non arrivano. Ma cominciare il primo episodio di una serie con immagini che non verranno nemmeno lontanamente spiegate in tutta la stagione mi pare un cicinino arrogante.