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Tag: Zerocalcare

AVVENTURE DEL PRESENTE E DEL FUTURO

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi. 

INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO

Indy è una creatura di Lucas e Spielberg insieme: del primo l’amore per l’avventura esotica e i b-movies, del secondo il cinematismo spettacolare e teorico. I primi tre film sono indiscutibili, Il quarto venne concepito da Spielberg come un percorso alle origini e poesia dell’analogico e del set (con omaggio al cinema muto hollywoodiano, Douglas Fairbanks e Allan Dwan in testa). Il quinto, purtroppo, non ha alcun “partito preso”. L’assenza di Spielberg è insostenibile, e l’avventura digitale con de-aging dell’eroe priva di qualsiasi consapevolezza. L’affetto permette però di chiudere un occhio, Phoebe Waller-Bridge ipnotizza, la storia di Archimede ammirevolmente eccessiva. Ma ci voleva ben altro.

ANIMALI SELVATICI

Pur ammirato, Cristian Mungiu non viene ancora considerato – come dovrebbe essere – uno dei grandi maestri del contemporaneo (magari insieme agli altri talenti dell’onda rumena, tuttora in formissima). La sua allegoria d’Europa, raccontata in Transilvania, è anti-mélo (basta guardare all’uso contrappuntistico della colonna sonora di In the Mood for Love). Horror sociale e grottesco universale trovano un equilibrio formidabile: forse è questo il film che sarà il caso di rivedere tra molti anni per spiegare il populismo e la xenofobia che hanno divorato il Continente – insieme alla stupidità escludente delle élite. Senza lezioncine, peraltro, ma a colpi di immaginario cinematografico: “the village” nel post-comunismo sovranista.

RODEO

Piccolo proiettile cinefilo nascosto a Cannes 2022, il film di Lola Quivoron romba di famelica voglia di vita al femminile. La veloce e furiosa protagonista scuote alle fondamenta un mondo maschio di motori e asfalto che scotta. Non sapendo bene se rimanere alla cronaca fenomenologica o costruire un’avventura autoriale, la regista rischia di restare a mezza strada, optando per una svolta thriller/noir forse più adatta a una struttura seriale articolata. Ma l’impatto rimane (compresa una locandina che non sarebbe dispiaciuta a Ida Lupino e forse nemmeno a Russ Meyer).

BLACK MIRROR 6

Bisogna dare atto a Charlie Booker di aver perfettamente capito che il presente ha divorato il suo not-too-distant-future e, presone atto, di aver portato la sua creatura in altri lidi. Ma, già a partire da un primo episodio di sconcertante pigrizia (un ragionamento autoriflessivo su Netflix e i suoi paradossi algoritmici), presto si capisce che al massimo questo Black Mirror può ambire a spiegare la crisi della fantascienza contemporanea – crisi non particolarmente scossa dalle svolte horror di alcuni racconti. Per il resto, da un punto di vista tecnico delude anche la scrittura, con sceneggiature cui servivano varie altre stesure e finali incomprensibili o sbrigativi (episodio 3, forse il più interessante, rovinato). Fine corsa del progetto, a occhio.

QUESTO MONDO NON MI RENDERÀ CATTIVO

“Peccato”, verrebbe da dire in risposta al titolo. Un pizzico di cattiveria in più servirebbe a Zerocalcare, che è un “buono” intrappolato ormai in un’autofiction senza fine dentro la quale si lamenta ad nauseam di essere considerato un venduto o un privilegiato (cosa che dà vita a una serie di meta-meta-meta-riflessioni sul suo stesso essere insopportabilmente preoccupato della cosa). La verità è che la serie precedente – la “summa” del calcarismo for dummies – funzionava benissimo per la sua brevitas. Zero è un talento strepitoso nella costruzione di gag fulminanti e fulminee, nei confronti surreali da pochi secondi con la cultura pop, nello schizzare personaggi di quartiere umani e lunari. Non funzionano per niente invece la trama orizzontale, le paturnie di sinistra, l’indulgenza di cui sopra, e – diciamolo – anche il disegno, che sui 30 minuti diventa legnoso e monotono. Alla prossima.

TRA LO STREAMING E LA SPERIMENTAZIONE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

STRAPPARE LUNGO I BORDI

Perché Strappare lungo i bordi di Zerocalcare è una delle migliori serie  Netflix 2021 | GQ Italia

La serie Netflix di Zerocalcare ha suscitato reazioni piuttosto esagitate da una parte e dall’altra. Conviene capire di che cosa si tratta: una divulgazione del mondo narrativo del fumettista per i milioni di spettatori che non lo conoscono. Gli altri rimarranno della loro idea, pro (i più) o contro (i meno). L’animazione, realizzata con un team nutrito, è minimale ma non ovvia. Nulla di indimenticabile, eppure coerente con il testo. Così come nel disegno stampato, Zerocalcare è fortissimo nella comicità: non solo per gli argomenti e l’ironia ma per i tempi e la costruzione testuale delle gag – cosa di cui poco si parla. Qui la macchina umoristica funziona a pieno regime, aiutata dalla forma breve del singolo episodio. Quando si va verso il serio e il commovente le cose si inceppano (ultimo episodio). Comunque esperimento riuscito.

THE MORNING SHOW 2

The Morning Show 2: uscita e streaming

“Ammazza che chiavica” direbbe l’amico Filippo Mazzarella. Prodotta da Apple TV+ con tutta evidenza solo per sfruttare alla buona il successo della prima stagione (che aveva un arco narrativo da “limited series”), la seconda gioca le carte migliori sulla dimensione industriale della televisione, tra analisi dello streaming, arrivo del Covid nelle news, preoccupazioni redazionali e paradossi del politically correct. Tutto il resto, invece, è devastante: la parte italiana con l’incolpevole (anzi ottima) Valeria Golino, le strampalate evoluzioni dei personaggi, le sotto-trame (il fratello della protagonista), in un caos narrativo ingovernabile che tra l’altro mostra anche una certa discontinuità formale e stilistica di episodio in episodio. Epic fail ma interessante per una meta-riflessione sui problemi della serialità contemporanea.

MAID

Maid», 4 motivi per affrontare la serie più drammatica che sta su Netflix |  GQ Italia

Cominciamo a contare fin da ora i premi che questa serie Netflix otterrà. E non c’è nulla di male. C’è aria da Nomandland + materiale di Loach sbarcato nella provincia americana: il mix – pur derivativo – funziona piuttosto bene grazie a una tenuta narrativa molto robusta (pur potendo forse stringere di un paio di episodi senza che nessuno ne soffrisse), e a una protagonista (Margaret Qualley) di enorme efficacia. Espressivamente limitata (la mimica facciale ha una gamma ridottissima, pur empatica), fenomenale a sfruttare come baricentro il corpo magrissimo e la bambina sempre in braccio, Qualley sostiene l’intero equilibrio del racconto – un po’ come il suo personaggio che cammina sul filo della sopravvivenza cadendo e aggrappandosi senza mai finire nel burrone. Temi nobili (abusi domestici, homeless, burocrazia della povertà, ecc), molto mainstream (canzoni indie messe a casaccio), personaggi secondari curatissimi (i maschi egoisti, la mamma beat), sostanzialmente centrato, anche culturalmente.

ATLANTIDE

Ribelli e visionari, storie di vite adolescenti in Laguna | il manifesto

Resterà in varie sale dopo l’evento di tre giorni il film di Yuri Ancarani, distribuito dai sempre più spericolati tipi di I Wonder. Detto che la Laguna sta diventando un luogo poetico proliferante (da We Are Who We Are a Welcome Venice), stavolta la dimensione contemplativa e osservazionale prevale su un pur interessante lato narrativo – un “veloce e furioso” sui barchini come se Justin Lin fosse sostituito da Lisandro Alonso. Tutto poi giunge all’ultima mezzora dove Venezia viene raccontata come se fosse la scena lisergica di 2001 di Kubrick, con una competenza tecnico-formale in grado di suscitare poi tutta la liquida ipnosi che la macro-sequenza possiede. Cinema sperimentale, certo, però in questa fase di strani spasmi dell’immaginario, di radicale frammentazione del linguaggio (e del prodotto, distribuzione sui vari canali compresa), Atlantide si siede in un posto tutto suo. Balzo in avanti anche della filmografia dell’artista, sempre intrigante ma non sempre altrettanto audace.

SAMP

SAMP di Antonio Rezza e Flavia Mastrella | Frammenti di cinema - di  Marcella Leonardi

Arriva al cinema, dopo un anno e passa dalle sue prime presentazioni ai festival, la nuova fatica di RezzaMastrella. I due – con Rezza ovviamente mattatore – sono gli unici che tuttora riescono a trasformare un’opera che ha la goliardia estetica di un cortometraggio studentesco in un giro completo nel mondo dell’assurdo per tornare a casa base. Dopo cinque minuti ti chiedi come si possa arrivare a vederne settantacinque, poi scopri che il percorso di surreali sparatorie, road movie di provincia pugliese, erotismi disperati e ridicoli, giochi sul suono e sulla voce, anarchici commenti sulla società in cui viviamo e intuizioni esilaranti, ti conquista. Bravi i distributori (Reading Bloom con Barz and Hippo) a portare questo film in giro, pur in poche sale, non di rado facendo tour con gli autori. Certo è meglio se già si conosce il mondo survoltato rezziano, anche a teatro, ma un bentornato su grande schermo ci sta tutto.

PINO

Pino (2020) | MUBI

Da qualche tempo su MUBI, e mostrato anche in qualche sala nelle scorse settimane, c’è questo bel documentario di Walter Fasano (noto come uno dei montatori più creativi del cinema d’autore italiano). Pino sarebbe Pino Pascali, poliedrico genio pugliese dell’arte contemporanea degli anni Sessanta – prima di morire giovanissimo nel ’68. La sua creatività fatta di forme monumentali ma anche strutture essenziali, con citazioni di fumetto, cinema, moda e pratiche materiche di ogni tipo, viene rielaborata da Fasano ben oltre il doc celebrativo. Il montaggio fotografico dei lavori formidabili di Pascali, le tre voci fuori campo che ne tracciano poeticamente il campo, il lavoro sul bianco e nero e sulla contemporaneizzazione di quell’epoca – allontanando il rischio del nostalgismo per i favolosi anni d’oro – mostrano un’idea di cinema all’altezza del soggetto.