Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
X: A SEXY HORROR STORY
Porno e horror. Sulla carta il furbacchione Ti West, assistito dalla produzione al solito raffinata di A24 (una delle poche a imporre un marchio negli ultimissimi anni), l’ha pensata molto bene. La solita storia di un van che finisce nella parte sbagliata dell’America profonda, con la variazione del vintage a luci rosse (essendo i protagonisti impegnati nella realizzazione di un film hardcore), funziona sempre, specie se gli anni Settanta restano come modello forte. Detto questo, gli entusiasmi eccessivi che ha suscitato probabilmente dicono molto della crisi ormai pluriennale che sta subendo l’horror mainstream (ma l’indie horror sta poi tanto bene?). In ogni caso stile e iconografia funzionano, con alcuni momenti e punti di forza decisamente solidi (l’alligatore, Mia Goth, gli omicidi). Se non dobbiamo per forza prenderlo come un horror sui geenris ma esattamente come un horror routinario con idee originali, dà più gusto.
THE STAIRCASE
Meta-serie che contiene anche il famoso documentario che fu girato al proposito. La “storia vera” e il true crime stanno diventando uno dei luoghi di sperimentazione più interessanti della serialità contemporanea. Antonio Campos come showrunner lavora in maniera meticolosa e sinistra sul personaggio (ambiguissimo, anche grazie a una performance strepitosa di Colin Firth) e sulla struttura, moltiplicando – senza esagerare – punti di vista, ricostruzioni, linee temporali. Certo, quando si hanno a disposizione, oltre a Firth, anche Toni Collette, Juliette Binoche e il magnifico Michael Stuhlbarg, per rovinare il piatto ci vorrebbe davvero una mediocrità assoluta. Per fortuna le cose non stanno così, e Campos ci conduce fino in fondo a una non-verità, concetto che si sta trasformando forse nel monstrum filosofico della nostra contemporaneità – incapace di trovarla e ormai alle prese con la crisi di ogni certezza condivisa.
SHINING GIRLS
A dir poco controversa l’accoglienza di questa serie Apple+. Pensandoci a lungo dopo la sua conclusione, si può dire che fa parte degli adattamenti un po’ involuti tipici di questa piattaforma (pensiamo all’autorialissima Storia di Lisey) ma che ha una storia molto potente dalla sua. L’idea di una ur-tossicità femminicida del maschio nei secoli, tra thriller e fantascienza, colpisce e stordisce più volte. Bisogna però sopportare una serie di linee narrative confuse e un rifiuto quasi testardo di prendere una strada tematica e stilistica precisa. Comunque, il tutto viene al solito caricato sulle spalle di e da Elizabeth Moss: qualcuno comincia a storcere il naso per la continuità con cui assume ruoli di vittima del patriarcato e della violenza maschile. Ma, ruotando il prisma, ecco una “politica dell’attrice” incredibilmente lucida, che fa dialogare i ruoli tra di loro e gioca sempre con il fantastico perturbante. Un corpo contemporaneo importante.
ELVIS
Due righe: e se Baz Luhrmann fosse uno di quegli autori che ha inventato un mo(n)do cinematografico per poi sembrarne l’imitazione?
THOR – LOVE AND THUNDER
Due righe: e se la quarta fase della Marvel fosse l’inizio del declino? Troppo presto per dirlo. Ma troppo tardi per sopportare questo Thor/Lebowski che fa caciara persino sul cancro.