Visioni Riflessioni Passioni

ESPLORAZIONI, CONFINI, MEMORIE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

GLI ORSI NON ESISTONO

Profetico e disperato, Panahi complica e al tempo stesso distilla il suo meta-cinema. Sulla soglia metaforica di un Paese che o lo imprigiona o lo fugge, l’autore ragiona sul rapporto tra modernità e tradizione. Lo fa con rispetto, senza assolversi del tutto, facendo capire come ci siano luoghi del mondo dove l’immagine ha un peso drammatico. Tra iconoclastia e iconofilia, Panahi offre un racconto universale che è l’essenza stessa del cinema oggi.

LE BUONE STELLE – BROKER

Itinerante, il Kore’eda coreano è sicuramente più riconoscibile di quello in trasferta francese, anche se i suoi capolavori sono lontani. Per un cineasta che oscilla tra flagranza dell’intimità e potenza del racconto (due poli opposti che rappresentano tutta la sua carriera, compresi gli alti e i bassi), sorprende un po’ la sensazione di ordinarietà emessa da Broker. Che rimane un film sensibile, dove la poetica famigliare fa i conti con uno spaesamento involontario.

HALLOWEEN ENDS

I fan della saga avranno apprezzato la scelta spiazzante di concludere la trilogia (e tutta la vicenda di Michael Myers) con un episodio quasi spurio, legato citazionisticamente allo stranissimo Halloween III? Noi sì, anche se ci sono momenti talmente rozzi e confusi che ci si chiede sempre se David Gordon Green ci è o ci fa. Il discorso sul populismo puritano si estende, il discorso sul Male si complica: Carpenter è lontano ma Green cade in piedi (forse meglio di Rob Zombie).

EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE

Possibilità 1: è un meta-film su di noi spettatori streaming di oggi e il titolo da solo spiega la condizione mediale di avere tutto, ovunque, in una volta sola, su ogni piattaforma. Possibilità 2: è un film sulla disgregazione della nostra esperienza e sulla schizofrenia della vita moderna, dove ci rimangono solo la fantasia sfrenata o gli psicofarmaci. Possibilità 3: è una parodia demenziale della Marvel, e persino la moralina finale (pesantissima) fa le pulci ironicamente a Disney. Nessuna funziona del tutto, ma qualcosa che merita la nostra attenzione c’è in tutte.

LA VITA É UNA DANZA

Chi si aspetta un terrificante mattone sulla danza con sacrifici e mélo famigliare sappia che non è così. Un Klapisch ad alti livelli indovina una storia di corpi e una storia di tecniche di ripresa, le fonde insieme, inventa un metodo alternativo di usare il movimento per significare, e arriva a risultati sorprendenti. Una specie di dramedy alla francese senza il feelgood alla Bélier e con parecchie cose da raccontare sulla nostra percezione di noi e dello spazio.

IL COLIBRÌ

Sandro Veronesi gode di scarso credito presso la critica letteraria più militante, ma è un ottimo scrittore post-ideologico. Archibugi e il team di sceneggiatori esperti di trasposizioni rincorrono il testo (un po’ come le equivalenze narrative che Truffaut non sopportava) e la sua struttura non-cronologica, dimostrando affanno. Il fatto che potesse andare peggio aiuta, ma non assolve del tutto. Attori ognuno sul suo spartito, col risultato di una cacofonia attoriale ingovernabile.

UNA BIRRA AL FRONTE

La carriera post-demenziale di Peter Farrelly dimostra che forse aveva ragione chi lo considerava già allora un tradizionalista travestito da petomane. Ma se Green Book aveva almeno l’idea formidabile di fingere un confronto razziale per parlare di un conflitto di classe, pur negoziandolo con un poco di zucchero, qui su Apple+ il Vietnam (attraversato da un Gump birraiolo che prende coscienza della guerra) grida vendetta.

LA PANTERA DELLE NEVI

Difficile decidere se sia un doc sopra la media o una grande occasione persa. L’osservazione del naturalista fotografo è pura attesa del monstrum con uno spirito da slow cinema di straordinaria attualità. E i movimenti degli animali ci portano in un’area da crono-fotografia in tempi di digitale. Purtroppo gli spunti cinefili (compresa una lacrima congelata, mélo glaciale) sono depotenziati e lasciati per strada. Herzog avrebbe fatto faville, ma il paragone è ingeneroso.

BRADO

Kim Rossi Stuart sulle tracce di Clint Eastwood? Sarebbe ingiusto spernacchiare. Ci vuole un verto coraggio a trapiantare in Italia un film da rodeo. Ben venga il tentativo di scavallare l’orizzonte precotto del nostro cinema. Storia di padre e figlio, di orizzonti e recinti, di animali imbizzarriti e uomini azzoppati. Però le scene più intense (una, terribile, di agonia) sono al chiuso.