Visioni Riflessioni Passioni

COLONIZZARE LA LUNA (E NON SOLO)

Questa volta recupero un piccolo contributo scritto in occasione dei 50 anni dell’allunaggio, scritto per la pubblicazione (scaricabile qui) della Cineteca di Bologna, a cura dell’Associazione Schermi e Lavagne, intitolata Destinazione Luna. Il tono è ovviamente divulgativo ma mi fa piacere sottoporlo al lettore.

Colonizzare. Parola che riporta alla mente un passato della storia contemporanea poco commendevole. C’è persino una branca di studi accademici che si chiama “studi post-coloniali”, che intende definire i rapporti tra occidente e luoghi de-colonizzati rispetto alle varie soggettività che sono nate dopo il periodo di riferimento. Nel cinema di fantascienza, non è raro che sia stata la Terra – forse per pagare il fio di tante ingiustizie – a diventare obiettivo di una colonizzazione, come nel caso del sempreverde L’invasione degli ultracorpi, baccelli extraterrestri pronti a copiare le nostre fattezze (il copyright del corpo, in fondo) per sostituirsi. D’altra parte, che cosa voleva fare Jake Sully, il marine di Avatar, se non infiltrarsi nel corpo di un abitante del pianeta Pandora per facilitare invasione e distruzione di una civiltà? Poi nel corso del film, per fortuna, ha cambiato idea.

La conquista della Luna pone senz’altro meno problemi umani, per l’assenza di popolazione. Non per questo l’approccio appare sempre positivo. In Transformers 3 la faccia nascosta della Luna cela comunque molti segreti, ma senza scomodare l’immarcescibile complottismo su quanto avvenuto nel 1969; l’essere umano basta da solo a mettersi nei guai. A volte generando altri se stessi, e non per allusioni pirandelliane (che pure funzionano da suggestione per i cinefili italiani): in Moon l’astronauta sulla base lunare amerebbe soffrire di solitudine pur di non veder arrivare una sua copia sputata, un sosia che cambia la percezione del mondo e del mercato, visto che l’ultima frontiera del capitalismo (come spiegato già da Blade Runner nel lontano 1982) è trasformare il corpo umano in forza lavoro artificiale, replicabile.

D’altra parte, la Terra rimane sempre un luogo problematico. In Wall-E gli uomini in fuga dal proprio pianeta inquinato, che hanno contribuito a prosciugare di vita, si ritrovano su una colonia vagante, dove non hanno altro da fare che rimanere per sempre consumatori, seduti su poltrone e ormai privi di forza fisica, rotondi come un Botero. Invece in Interstellar, il problema dell’inquinamento (vera e propria ossessione del cinema di fantascienza, insieme all’apocalisse nucleare) suscita interrogativi più tecnici. Che si voglia colonizzare un altro pianeta, è fuori di dubbio. Ma quale? E come si trasporta la forza di gravità? Quando il protagonista si infila in continui cunicoli spazio-temporali è perché l’ossessione dello spazio è fin troppo spesso considerata in maniera pre-galileiana. Non a caso nel 1902, Méliès, nella prima scena di Voyage dans la Lune, mostrava un consesso di scienziati in cui il più visionario tracciava su una lavagna una normale traiettoria a trattini. Dalla Terra alla Luna. Senza tenere conto del tempo, che è curvo e complicato ancor più dello spazio con cui interagisce, suscitando – come in Nolan – non solo grandi domande sul futuro dell’umanità ma anche sulla narrazione cinematografica.

Tra le colonizzazioni più credibili degli anni recenti c’è sicuramente The Martian di Ridley Scott. Si tratta, notoriamente, del film che analizza nel modo più realistico possibile che cosa potrebbe succedere quando andremo davvero su Marte. I guai dell’astronauta, primo colono, vengono risolti dall’abnegazione dell’uomo americano per eccellenza, interpretato da Matt Damon, che grazie alle sue capacità di agricoltore e di homo faber, sopravvive in ambiente ostile. Per molti critici, il bel film di Scott fa più parte del cosiddetto survival (sottogenere dedicato alla sopravvivenza in condizioni estreme) che della fantascienza. E in effetti è stato esilarante scoprire che – intervistati per un’indagine – alcuni spettatori statunitensi si sono dichiarati convinti che The Martian fosse tratto da una storia vera. Dramma dell’ignoranza o potere convincente del cinema? Certo è che il sapore veritiero che Scott ha voluto trasmettere alla sua spedizione scientifica ci dice molto del rapporto tra immaginario filmico e progresso aero-spaziale e scientifico.

In fondo, tutti i film sulla Luna girati dopo il 1969 hanno trasformato la science fiction in Storia. E quando si torna a parlare di Luna – come in Il primo uomo – si enfatizza l’aspetto meccanico e pre-digitale dell’impresa, quasi a confermare che quella conquista è stata stupefacente e coraggiosa. Non abbiamo colonizzato nulla, anzi sulla Luna non ci siamo nemmeno tornati. Ma la lezione per il cinema è stata incalcolabile, tanto da aver nutrito buona parte di questo genere, in epoca moderna e contemporanea.