Mi è già capitato più volte di notare come gli stereotipi distributivi e di consumo siano molto più forti di quanto si immagini. In tutte le tipologie di sala. Nei cinema d’essai e nei circuiti di qualità, andare a vedere Donwton Abbey – la versione cinematografica, s’intende – pare sia stata una scelta principalmente femminile. Persino gli esercenti erano stupiti dalla irrisoria percentuale di uomini seduti davanti al grande schermo, spesso meno del 10%. Sono dati empirici, d’accordo, ma confermati dalla gran parte dei professionisti consultati in proposito.
Più di recente, la stessa cosa accade con Le ragazze di Wall Street, che però con il cinema in costume e con la Gran Bretagna degli anni Venti non ha nulla a che spartire. Così come le sale sono differenti: stavolta tocca ai multiplex fare la parte del leone. Il film – così come il precedente, ma ancora di più – ha funzionato al botteghino, e la spiegazione non sta certo in Jennifer Lopez, ovvero in un improbabile rilancio di divismo dell’attrice. Il propellente è nella storia e nel modo in cui è messa in scena.
Assistere in un multiplex alla proiezione del film di Lorene Scafaria (ampiamente shakerato con il cinema di Adam McKay, qui produttore) è istruttivo. La sala – all female quasi quanto la vicenda e le sue protagoniste – è particolarmente vivace, risponde alle battute e alle svolte di trama, sembra particolarmente entusiasta di personaggi di donna attivi e forti, poco importa se truffaldini, e anche con i modelli di femminilità proposti (eccessivi, certo, ma come pura forma di intensificazione, e dunque mai estranei o irriconoscibili). A domanda diretta, le spettatrici mi hanno risposto di aver percepito Le ragazze di Wall Street come un film “loro”, segno che forse non c’è abbastanza cinema veramente femminino in giro – mentre la televisione con Fleabag o La fantastica signora Maisel è ormai avanti anni luce.
Varrà la pena riparlarne. Il rischio è che film come questi vengano snobbati anche dalla critica accademica senza capire che da qui passano le linee di tensione del contemporaneo in ottica gender.