Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
L’ARTE DELLA GIOIA
Premesso che non sentivamo il bisogno di vedere l’estetica prestige Sky smarmellata su grande schermo con dubbi esiti estetici (viva le serie su smart TV e non al cinema!), l’adattamento di Golino da Sapienza (6 ore solo per il primo quarto del romanzo) è puntuale e al tempo stesso interpretativo. Pur senza diventare verhoeveniana, come forse avremmo desiderato, la regista si lascia prendere dal paganesimo sessuale, politico, anti-maschile dell’originale letterario e ne espone il lato feuilleton senza minimamente pensare di offenderlo – come giusto che sia. E non so quante volte di recente abbiamo visto un’attrice italiana (Tecla Insolia) così “pop porno”, maliziosa, angelicamente perfida.
INSIDE OUT 2
Massimo risultato (leggi: incasso) col minimo sforzo. Se me lo fossi trovato direttamente su Disney+ non mi sarei sorpreso: racconto davvero rinunciatario e minimale che si limita a giocare sulle idee del primo episodio, rifiutando a bella posta di riproporne la complessità, per privilegiare una vicenda molto compatta (un weekend della nostra teen puberale in un camp sportivo) ma di respiro cortissimo. La rappresentazione di Ansia fa gol, anche se a porta vuota. La Pixar continua a deludere nei sequel, ma sono quelli che rimpinguano le casse, quindi inutile fare gli schizzinosi. Peccato solo la rinuncia – non da oggi – alla ricerca visiva, alla sperimentazione industriale.
THE ANIMAL KINGDOM
Premiato smodatamente ai César ed elogiato altrettanto eccessivamente, il film di Calley funziona molto meglio per la compattezza del racconto che per le trite metafore su adolescenza e rapporti famigliari (non c’è nessuna differenza di finezza rispetto a Twilight o Teen Wolf, salvo appunto la qualità narrativa e visiva). Anche per la Francia è un prodotto atipico, un po’ come quelli di Mainetti in Italia, che certamente non vale meno di Calley: ben vengano. Ottimi i giovani in scena, così come un Romain Duris particolarmente vulnerabile. Totalmente sprecata invece Adèle Exarchopoulos.
GASOLINE RAINBOW
Quintessenza del cinema “indie” americano, il road movie dei fratelli Ross (su MUBI) potrebbe somigliare al cinema di Chloé Zhao, ovviamente in minore se pensiamo al destino mainstream della cineasta. La fuga adolescenziale funziona soprattutto per come mette in scena una giovane nazione marginale, squat, antifa, skate, ecologista, tra attitudine punk e autarchia anti-capitalista, in giro per città e la province USA. Più filosofia di Henry Rollins che di Jack Kerouac. Pian piano, però, spira un’aria meno spontanea, forse per un desiderio legittimo di chiudere il cerchio.
IL RACCONTO DI DUE STAGIONI
La rivisitazione da parte di Ceylan delle basi universali della letteratura occidentale continua. Stavolta – dopo tanto Checov – l’autore turco guarda a Dostoevskij. Si veleggia verso le tre ore e mezzo, necessarie per esplorare il mondo sentimentalmente incerto e emotivamente limitato del solito intellettualino indeciso raffigurato dal cineasta. E sempre la Turchia viene considerata, probabilmente non a torto, lo scenario ideale e metonimico per raccontare un presente socio-politico globale, sospeso tra tradizione e modernità, populismo ed élite, desiderio e conformismo. Le variazioni di questa filmografia sinceramente ci sembrano minime, ma ha comunque un respiro enorme.
ATTENBERG + CHEVALIER
Ci piace questa idea di fare in prima visione un po’ di ricerca sul contemporaneo inedito, con azione da cineclub. Trent Film va alle radici dell’onda greca degli ultimi anni, così da ricordare che non esiste solo Yorgos Lanthimos. Athina Rachel Tsangari, tra 2010 e 2015, aveva realizzato questi due film (dichiaratamente “da festival”) dove il mix tra messinscena glaciale e analisi molecolare del capitalismo all’europea continua ad essere attuale. Tra i due, meglio Chevalier dove la satira della maschilità è rotonda e riuscita, chissà se modello anche per il più furbacchione Ostlund.