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Tag: The Morning Show

PASSAGGI E TRAPASSI DEL CONTEMPORANEO

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

NAPOLEON

Il riassunto di quella che ha tutta l’aria di essere la versione final cut (4 ore) arriva in sala con molta freddezza critica. In verità, considerato che Ridley Scott è da anni un cineasta anti-autoriale, per cui ogni singolo progetto prescinde da quello precedente e da quello successivo in una cocciuta ricerca del pezzo unico, le cose non vanno così male. Il Napoleone involuto e isterico interpretato dal volutamente spaesato Phoenix racconta il trasformismo del potere ma anche l’intuitività del condottiero: si può essere geniali strateghi di guerra e idioti incapaci di gestire il proprio talamo nuziale. E così, tra una battaglia e l’altra, si torna all’idea di polemos scottiana: falangi che si giocano la battaglia sul proscenio della Storia, non importa in che epoca (Il gladiatore, Le crociate, Black Hawk Down), tanto l’uomo ha sempre risolto le cose con la violenza fisica e con la manipolazione politica. In più, ci sono fantasmi kubrickiani – quelli del film mai girato – che fanno capolino piuttosto evidenti, con riflessione a tuffo carpiato: e se Napoleone fosse un Barry Lyndon che ce l’ha fatta? (Almeno fino a Waterloo).

PASSAGES

Dopo un fugace passaggio estivo in sala, il triangolo amoroso fluido diretto da Ira Sachs arriva su MUBI. Autore assai sopravvalutato (a occhio anche da se stesso), Sachs ha il dono di raccontare una storia di rara irrilevanza con una sensibilità fuori del comune, specie nelle scene di sesso omoerotico. Tutto ruota intorno alla performance di Rogowski (attore apolide ed eccezione vivente dell’arthouse internazionale), visto che gli altri vertici della variabile geometria amorosa lasciano a desiderare – specie il pur simpatico Ben Whishaw, inchiodato alla medesima parte nelle serie e nei lungometraggi che gira. Ma, stile a parte, per raggiungere la flagranza eustachiana ci vuole ben altro che una crisi affettiva borghese raccontata senza peli sulla lingua e “lavorando” i corpi. E quando non si sa come finire una storia, come in questo caso, si rimane poi con un pugno di mosche in mano.

LA CHIMERA

Diciamolo, Alice Rohrwacher fa di tutto per irritare i non estimatori, a forza di pasolinate, cittismi, olmismi, realismo magico, folklore e amore contadino. Ma se si resiste al contesto ideologico, la forza espressiva di questa autrice si rivela e si svela, potentissima. Ben oltre il racconto dei tombaroli e delle vestigia sepolte di una civiltà (s)perduta, Chimera racconta un’Italia in cui il moderno non ha mai veramente attecchito. Una nazione di scarti, di oggetti sepolti, di ladruncoli rabdomantici per due lire, di tesori interrati e riscoperti solo sfidando i tarocchi di un destino segnato. E alla fine è un film sulla Morte, per una volta narrata in maniera terragna, malmostosa, qua e là ironica, come destino comune mentre cerchiamo un fil rouge esistenziale, pensando di essere immortali. E poi c’è un cinema-cinema strepitoso, pellicolare, che va percepito nella sua densità ottico-sonora, che pochi (Pietro Marcello, Emma Dante, per esempio) sanno fare oggi in Italia.

DREAM SCENARIO

Tra stilemi alla Gondry e pesante influenza del produttore Aster, il film americano di Borgli conferma qualità e difetti di Sick of Myself, e soprattutto la sensazione di conservatorismo crescente man mano che la storia si sviluppa. La satira sociale sull’influencer onirico e sul neuro-marketing del populismo si rivolta contro il suo creatore, il quale – a parte una sconsiderata svolta narrativa fanta-tecnologica nel terzo atto – non trova di meglio che colpire a strascico tutti i personaggi, immaturi o cattivi, e che sfida il buon gusto insistendo su una giovane donna con fantasie passive di aggressione sessuale. Siamo meglio di come ci descrive Borgli. Anche se l’idea di base e la prima parte funzionano e intrigano.

CENTO DOMENICHE

La dignità di Antonio Albanese fa spesso attutire la severità critica che meriterebbe. Al quinto lungometraggio da regista, esprime una spoglia mediocritas poco utile alla storia che sta raccontando (o troppo intrisa del personaggio, assai ingenuo, che mette in scena). In ritardo di vent’anni sul cinema del lavoro e dell’indebitamento che circola in Europa, la triste epopea del protagonista è molto schematica, con archi di trasformazione scritti col righello (l’impiegato suicida, il coro della bocciofila, la figlia amorevole). Gli si vuole bene, come sempre, ma poi ci si chiede: perché, esattamente? Segnaliamo infine che il matrimonio dei figli rimane (come la prima comunione del dopoguerra) la vera ossessione del cinema italiano, da Aldo, Giovanni e Giacomo a Paola Cortellesi, da Abatantuono al qui presente.

THE MORNING SHOW 3

Da serie prestige con cui Apple si affacciava alla battaglia dello streaming, The Morning Show si sta trasformando rapidamente in un guilty pleasure dove la parata delle star iper-truccate (Aniston e Witherspoon) comincia a odorare di cringe consapevole. Ma la terza stagione è comunque meglio della goffa e contraddittoria seconda. Aggiornatissima (Ucraina e post-Covid sugli scudi), ruba a piene mani dalle ultime due stagioni di Succession la riflessione sugli imperi dei media digitali e sugli OTT che si mangiano la TV lineare. Ne esce una difesa innamorata pazza della TV generalista e dei legacy media, però ospitata dalla piattaforma. Paradossi dei tempi che corrono.

TRA LO STREAMING E LA SPERIMENTAZIONE

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

STRAPPARE LUNGO I BORDI

Perché Strappare lungo i bordi di Zerocalcare è una delle migliori serie  Netflix 2021 | GQ Italia

La serie Netflix di Zerocalcare ha suscitato reazioni piuttosto esagitate da una parte e dall’altra. Conviene capire di che cosa si tratta: una divulgazione del mondo narrativo del fumettista per i milioni di spettatori che non lo conoscono. Gli altri rimarranno della loro idea, pro (i più) o contro (i meno). L’animazione, realizzata con un team nutrito, è minimale ma non ovvia. Nulla di indimenticabile, eppure coerente con il testo. Così come nel disegno stampato, Zerocalcare è fortissimo nella comicità: non solo per gli argomenti e l’ironia ma per i tempi e la costruzione testuale delle gag – cosa di cui poco si parla. Qui la macchina umoristica funziona a pieno regime, aiutata dalla forma breve del singolo episodio. Quando si va verso il serio e il commovente le cose si inceppano (ultimo episodio). Comunque esperimento riuscito.

THE MORNING SHOW 2

The Morning Show 2: uscita e streaming

“Ammazza che chiavica” direbbe l’amico Filippo Mazzarella. Prodotta da Apple TV+ con tutta evidenza solo per sfruttare alla buona il successo della prima stagione (che aveva un arco narrativo da “limited series”), la seconda gioca le carte migliori sulla dimensione industriale della televisione, tra analisi dello streaming, arrivo del Covid nelle news, preoccupazioni redazionali e paradossi del politically correct. Tutto il resto, invece, è devastante: la parte italiana con l’incolpevole (anzi ottima) Valeria Golino, le strampalate evoluzioni dei personaggi, le sotto-trame (il fratello della protagonista), in un caos narrativo ingovernabile che tra l’altro mostra anche una certa discontinuità formale e stilistica di episodio in episodio. Epic fail ma interessante per una meta-riflessione sui problemi della serialità contemporanea.

MAID

Maid», 4 motivi per affrontare la serie più drammatica che sta su Netflix |  GQ Italia

Cominciamo a contare fin da ora i premi che questa serie Netflix otterrà. E non c’è nulla di male. C’è aria da Nomandland + materiale di Loach sbarcato nella provincia americana: il mix – pur derivativo – funziona piuttosto bene grazie a una tenuta narrativa molto robusta (pur potendo forse stringere di un paio di episodi senza che nessuno ne soffrisse), e a una protagonista (Margaret Qualley) di enorme efficacia. Espressivamente limitata (la mimica facciale ha una gamma ridottissima, pur empatica), fenomenale a sfruttare come baricentro il corpo magrissimo e la bambina sempre in braccio, Qualley sostiene l’intero equilibrio del racconto – un po’ come il suo personaggio che cammina sul filo della sopravvivenza cadendo e aggrappandosi senza mai finire nel burrone. Temi nobili (abusi domestici, homeless, burocrazia della povertà, ecc), molto mainstream (canzoni indie messe a casaccio), personaggi secondari curatissimi (i maschi egoisti, la mamma beat), sostanzialmente centrato, anche culturalmente.

ATLANTIDE

Ribelli e visionari, storie di vite adolescenti in Laguna | il manifesto

Resterà in varie sale dopo l’evento di tre giorni il film di Yuri Ancarani, distribuito dai sempre più spericolati tipi di I Wonder. Detto che la Laguna sta diventando un luogo poetico proliferante (da We Are Who We Are a Welcome Venice), stavolta la dimensione contemplativa e osservazionale prevale su un pur interessante lato narrativo – un “veloce e furioso” sui barchini come se Justin Lin fosse sostituito da Lisandro Alonso. Tutto poi giunge all’ultima mezzora dove Venezia viene raccontata come se fosse la scena lisergica di 2001 di Kubrick, con una competenza tecnico-formale in grado di suscitare poi tutta la liquida ipnosi che la macro-sequenza possiede. Cinema sperimentale, certo, però in questa fase di strani spasmi dell’immaginario, di radicale frammentazione del linguaggio (e del prodotto, distribuzione sui vari canali compresa), Atlantide si siede in un posto tutto suo. Balzo in avanti anche della filmografia dell’artista, sempre intrigante ma non sempre altrettanto audace.

SAMP

SAMP di Antonio Rezza e Flavia Mastrella | Frammenti di cinema - di  Marcella Leonardi

Arriva al cinema, dopo un anno e passa dalle sue prime presentazioni ai festival, la nuova fatica di RezzaMastrella. I due – con Rezza ovviamente mattatore – sono gli unici che tuttora riescono a trasformare un’opera che ha la goliardia estetica di un cortometraggio studentesco in un giro completo nel mondo dell’assurdo per tornare a casa base. Dopo cinque minuti ti chiedi come si possa arrivare a vederne settantacinque, poi scopri che il percorso di surreali sparatorie, road movie di provincia pugliese, erotismi disperati e ridicoli, giochi sul suono e sulla voce, anarchici commenti sulla società in cui viviamo e intuizioni esilaranti, ti conquista. Bravi i distributori (Reading Bloom con Barz and Hippo) a portare questo film in giro, pur in poche sale, non di rado facendo tour con gli autori. Certo è meglio se già si conosce il mondo survoltato rezziano, anche a teatro, ma un bentornato su grande schermo ci sta tutto.

PINO

Pino (2020) | MUBI

Da qualche tempo su MUBI, e mostrato anche in qualche sala nelle scorse settimane, c’è questo bel documentario di Walter Fasano (noto come uno dei montatori più creativi del cinema d’autore italiano). Pino sarebbe Pino Pascali, poliedrico genio pugliese dell’arte contemporanea degli anni Sessanta – prima di morire giovanissimo nel ’68. La sua creatività fatta di forme monumentali ma anche strutture essenziali, con citazioni di fumetto, cinema, moda e pratiche materiche di ogni tipo, viene rielaborata da Fasano ben oltre il doc celebrativo. Il montaggio fotografico dei lavori formidabili di Pascali, le tre voci fuori campo che ne tracciano poeticamente il campo, il lavoro sul bianco e nero e sulla contemporaneizzazione di quell’epoca – allontanando il rischio del nostalgismo per i favolosi anni d’oro – mostrano un’idea di cinema all’altezza del soggetto.