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VIAGGI (POLITICI) NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.

DO NOT EXPECT TOO MUCH FROM THE END OF THE WORLD

Cineasta ormai irrinunciabile nel panorama internazionale, Jude è uno dei pochi in grado di progettare e creare un incidente frontale con il contemporaneo. Il rifiuto di distinguere politica, estetica, ideologia e linguaggio fa sì che la totale destrutturazione dei suoi film risulti paradossalmente tanto più spontanea quanto meno digerita dal grande pubblico. Anche stavolta, la satira del documentario e dei media digitali si eleva a dolentissima riflessione sul presente e sulla post-democrazia, di cui evidentemente (ormai lo abbiamo capito a suon di registi e di film) la Romania è laboratorio/osservatorio privilegiato. Per il resto si ride e ci si raggela, ci si raggela e si ride, finendo con l’avere una compassione profonda per gli essere umani là davanti alla macchina da presa.

NAPOLI – NEW YORK

Devo ammetterlo: saputo che Salvatores avrebbe adattato un soggetto inedito felliniano e visto il micidiale trailer, i pregiudizi si erano fatti quasi insormontabili. Quasi. Perché il critico si è abituato a non fidarsi mai delle sensazioni. E infatti Napoli – New York si rivela l’esito più felice di Salvatores da anni (forse dal coraggioso Il ragazzo invisibile, 2014). Il rispetto per il raccontino di partenza – che fa emergere l’animo bozzettistico di Fellini e Pinelli all’altezza di fine anni Quaranta – protegge da ambizioni autoriali mal riposte e permette di sciogliersi nella “fiaba critica”, pescando a piene mani da Leone, Tornatore, un po’ di Comencini e un pizzico di Crialese. Giova la ricostruzione dell’America fatta in Croazia, una specie di dichiarazione estetica da set, questa sì molto felliniana e figurativamente ispirata alla storia dell’illustrazione italiana.

IL GLADIATORE II

Se Eastwood sorprende perché gira lucidi origami a 94 anni, dovremmo congratularci con Ridley Scott che gestisce set colossali a 87. Purtroppo le strette di mano finiscono qui. Perché il sequel del fortunato blockbuster di un quarto di secolo fa dimostra che il tempo è passato, l’idea di storia romana come fantasy è ormai anacronistica, e persino il retrogusto stile peplum hollywoodiano d’antan diventa meno dolce. A non funzionare sono la maniacale adesione al capostipite (di cui è in fondo un remake) e l’attore protagonista – Paul Mescal fallisce la transizione da corpo intimista per autori raffinati a muscolare eroe popolare. Curiose le assonanze con Megalopolis: entrambi usano Roma e la sua storia per parlare di America e di politica globale. Ma Scott fa il furbo e le sue metafore sembrano voler accontentare tutti.

BLITZ

I bombardamenti tedeschi su Londra nella Seconda Guerra mondiale hanno una piccola grande storia nella letteratura e Steve McQueen a sua volta li considera contenitore ideale per una storia di andata e ritorno dickensiano di un orfano/non orfano dalla pelle scura. L’idea è quella di raccontare un viaggio infantile in uno scenario di distruzione senza rinunciare a commenti sulla società britannica, che mentre veniva attaccata dalla furia omicida nazista non mancava di mostrare divisioni razziali, di classe e di censo al suo interno. In più, c’è la storia di una giovane madre e della sua sfrontatezza dentro una piramide patriarcale che non le perdona libertà sessuale e di parole. Gestire il tutto scegliendo gli stilemi del period drama deluxe (con ampi riferimenti all’ottimo Anni ’40 di John Boorman) è una scommessa sovrabbondante, audace ma poco riuscita.

HEY JOE

Entra pian piano nella testa, il nuovo film di Claudio Giovannesi – autore laterale del cinema italiano, che non se la tira e lavora spesso con idee sottili, costruite con competenza. Il ritorno del soldato americano a Napoli esce dal repertorio della canzone popolare ma poi viene ribaltata scegliendo il tema della malinconia e della ricucitura impossibile (il nostos destinato alla morte che spesso viene associato a Napoli e che già era fortissimo nel Martone di Nostalgia). Molto della credibilità del racconto si deve alla recitazione dolce di James Franco (con evidenti echi auto-biografici) e alla fotografia di Daniele Ciprì, attenta a cromatismi densi ma trattenuti.

HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO

Fedelissimo al suo tema ossessivo (sfigati di provincia che si uniscono trovando un successo insperato), Sydney Sibilia – con un bel team di registi e sceneggiatori – dimostra come torcere una storia da alto rischio di shitstorm e presa per i fondelli (la vita degli 883) facendola diventare un corroborante romanzo di formazione provinciale. Eccezionale la scelta dei due attori – in particolare Elia Nuzzolo (già next generation caldissima) che si concia come un Tin Tin impacciato con tratti da nerd americano. L’effetto “retromania” funziona per gli over 40, ma la serie gioca con sentimenti universali anche dei teen. Scambiarlo per qualcosa di importante sarebbe delittuoso, ma di commedie musicali seriali all’italiana fatte bene se ne vedono poche.

THE DIPLOMAT 2

Il problema e la forza di Diplomat sono la stessa cosa: comprimere in poche stanze e in rari esterni grandi crisi politiche (per lo più enunciate nei dialoghi) permette di ottenere una potente “verbalizzazione del conflitto”. In essa convivono schegge di screwball comedy e di cinema politico anni Settanta (curiosamente shakerate). Ma in questa stagione la claustrofobia è divenuta meno spontanea, e le forzature della storia contemporanea inverosimili (qui e in Slow Horses il Regno Unito è al centro di trame oscure e pazzesche: ma quando mai? sarà un malcelato desiderio dettato dal declino?). Per la terza stagione – annunciata da un cliffhanger vecchio stile – urgono idee di scrittura e un aggiornamento sul presente (per quanto difficile da inseguire).

UNIVERSO BATTISTON: STUCKY E IL CORPO

Che Giuseppe Battiston abbia abbandonato da tempo il territorio – pur degno – del caratterista di lusso è noto. Ma i panni del detective gli donano ancora di più, da protagonista. I rappresentanti della legge interpretati nella serie di Valerio Attanasio e nel film di Vincenzo Alfieri (due che credono ai generi in Italia, se Dio vuole) non potrebbero essere più diversi. Il tenente Colombo è il modello del primo, l’investigatore mangiato dalla vita (stile polar) quello del secondo. Si gode in entrambi i casi: leggerezza per Stucky (ma con una provincia assassina che non sarebbe dispiaciuta a Simenon), divertissement macabro per Il corpo. Le piccole cose che ci piacciono (e forse sono necessarie) nel panorama nazionale.