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Il cinema musicale italiano

Si intitola Cinema, sorrisi e canzoni – Il film musicale italiano degli anni Sessanta (Rubettino, 18 euro) il nuovo saggio di Claudio Bisoni, docente DAMS e studioso di cinema popolare italiano e di processi di ricezione dei media. In effetti, la descrizione dell’autore ci mette già sulla strada giusta per la comprensione del volume. Nient’affatto uno studio cinefilo o da fan sul musicarello, bensì una ricca, solida e circostanziata analisi di questi genere (se di genere si tratta) che ha avuto caratteristiche peculiari e espressioni fenomeniche estremamente interessanti dentro la storia del cinema italiano.

Bisoni non ha alcun bisogno di legittimare culturalmente il film musicale in sé, caso mai lo fa con l’oggetto di studio. Già, a che cosa ci serve studiare titoli come Urlatori alla sbarra, In ginocchio da te, Rita la zanzara e molti altri assai meno conosciuti di questi (spesso in verità citati per sentito dire e poco altro)? Lo spiega lo stesso Bisoni, e come sempre le parole migliori appartengono ai peritesti del volume: “Tra le pagine emerge il modo in cui i film musicali hanno saputo sfruttare i cambiamenti sociali ai tempi del boom economico e stabilire un dialogo con le nuove generazioni di spettatori appassionati. Attraverso molteplici prospettive d’analisi, lo studio si concentra sugli aspetti più rilevanti del filone: le routine produttive dei film a basso costo, le dinamiche economiche che ne spiegano il successo, le forme espressive e narrative. Da un lato la canzone è incorporata nel linguaggio audiovisivo, dall’altro usa il cinema per promuoversi e per rafforzare i riti che la riguardano. Il libro prende inoltre in considerazione le pratiche concrete, troppo spesso trascurate, alla base del consumo quotidiano dei film e delle canzoni, insieme alla capacità di questo cinema di raccontare un capitolo della storia dei giovani, in un decennio di trasformazione dei costumi e dei ruoli di genere”.

Dunque, si parte dal film musicale ma poi si arriva parecchio lontano. I capitoli sono sei. I primi due hanno un taglio storico, economico e produttivo (una delle aree di maggior interesse dei film studies “italianisti” degli ultimi anni) con l’intelligente esito di considerare il musicarello non un luogo di improvvisazione a basso costo ma di routine produttiva artigianale ben organizzata. Anche la periodizzazione del genere viene ampliata e raffinata rispetto alle retoriche di ascesa e tramonto, che non di rado penalizzano anche le storie di altri generi coetanei a questo. Il terzo e il quarto capitolo sono teorici, e si occupano del rapporto tra forma-canzone, numero musicale, linguaggio cinematografico, intensificazione audiovisiva.

Infine, nell’ultima parte – i capitoli 5 e 6 – Bisoni osserva il rapporto negoziale che si crea tra cinema musicale, culture giovanili e spettatori, dove il film-canzone sembrerebbe possedere aspetti di contenimento e di “digestione” delle spinte più provocatorie che i media dell’epoca tendevano ad attribuire alle nuove generazioni. Molto utile – e per nulla scontato – infine il ricorso a questionari e interviste scritte, poi abilmente riassunte in forma discorsiva, ad alcuni testimoni dell’epoca che illuminano (non senza sorprese) il rapporto tra spettatori, età anagrafica, consapevolezza mediale e forme di rimediazione del ricordo.