Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
UN BEL MATTINO
Come sarebbe stato questo struggente racconto senza Léa Seydoux? Inutile chiederselo, per fortuna lei c’è e illumina un personaggio femminile forte e al tempo fragile con ascendenze più da Téchiné che da Rohmer. Hansen-Løve a soli 40 anni ha già una filmografia ricchissima, chapeau. Dopo gli arzigogoli teorici di L’isola di Bergman, qui ritrova naturalezza, precisione e strazio, pescando nuovamente dal lato autobiografico da cui partì. E riscopre un Melvil Poupaud corpo cinefilo.
GODLAND
Quello di Hlynur Pálmason è uno dei pochi “film panici” di questi tempi. Mentre viaggi con i protagonisti nella natura più inospitale, dura e possente, ti chiedi a ogni istante come abbiano fatto a girarlo (pellicola, formato quadrato, sembra quasi di respirare la natura). Quando l’impervia missione si arresta, la storia di comunità e lacerazione convince meno, ma l’attraversamento in purezza merita generosità. Da vedere rigorosamente in originale (tutto ruota intorno al confronto linguistico tra islandese e danese).
AFTERSUN
Periodo di film scritti sull’esperienza, quasi tattili, che ti aggrovigliano lo stomaco. Fulminante esordio di Charlotte Wells, impregnato di dolore, raccontato con un minimalismo carico di malinconia e tensione difficilissimo da ottenere. Squarcio di una vacanza tra figlia pre-adolescente e padre separato dove si dice tutto tra le righe, lasciando che il momentaneo spieghi l’universale, in una terra di nessuno turistica ma dolorosa. Mettersi di traverso perché “troppo pompato” è robetta da social. Guardatelo.
THE PALE BLUE EYE
Scott Cooper si conferma il regista che poteva ma non troppo. Una filmografia carica di quasi-grandi film (Hostiles, Il fuoco della vendetta) e di terribili scivolate (Black Mass, Antlers) sfocia in questo streaming-prestige Netflix con Christian Bale e un cast di glorie sullo sfondo. Storia gothic western, con Edgar Allan Poe come personaggio (la cosa peggiore), non si può dire che sia trascurato o che ignori lo stile. Eppure rimane congelato tra le nevi che ingoiano il paesaggio.
MA NUIT
Altro film esperienziale e impalpabile. Antoinette Boulat racconta una generazione in una passeggiata notturna, con un lutto sullo sfondo (quanti lutti nei personaggi di oggi). Non sono diciottenni da Nouvelle Vague (che erano anzi più grandicelli) ma giovani melanconici in cerca di un presente che sfugge e di senso, dentro una topografia che li guarda con una qualche indifferenza. Dal confronto nasce voglia di esistere, e fare filosofia spicciola in fondo è un modo per amare la vita.
NEZOUH
Il cinema originato dalla tragica guerra in Sira (buco nero dell’umanità nel secondo decennio del secolo) comincia a slittare dal dato documentario, urgente, a quello metaforico, esistenziale. Il buco nel soffitto che si crea dopo un bombardamento squarcia un tetto di dinamiche sociali, e comunitarie, soffocanti. Troppo realismo magico, certo, ma anche un contenitore di rilievi sulle contraddizioni della ribellione (i civili come scudi umani designati, la dimensione patriarcale come unico orizzonte) non banali.
LE VELE SCARLATTE
Il più semplice dei film di Pietro Marcello, e non è detto che sia per forza un bene. Adattando con una certa libertà l’omonimo romanzo di Aleksandr Grin, l’autore conferma la voglia di fuggire dal contemporaneo, che emergeva qua e là in Martin Eden (dove lo schiacciamento del ‘900 era un anacronismo era voluto per salutare il secolo perduto). Quell’urgenza romanzesca sembra, però, attutita e ovattata, e la produzione francese rischia di imprigionarlo in un accademismo medio che è il contrario esatto della sua poetica.
CLOSE
I bambini si guardano: è proprio da uno sguardo tra ragazzini troppo indagatorio che nasce la tragedia della definizione di sé. Dhont è un tipo di autore che non lascia nulla sullo sfondo. La sua delicatezza di tocco e la naturalezza ottenuta dai giovanissimi protagonisti sono doti certe, confermate. Peccato per una narrazione così piana, e soluzioni drammaturgiche così ovvie. La presenza dolente di Émilie Dequenne (ex-Rosetta) intenerisce.