Come di consueto la rubrica “In poche righe” affronta alcuni film e serie TV attraverso rapidi lampi critico-interpretativi.
TORI E LOKITA
Sempre i soliti Dardenne? Mica tanto. La trasformazione da autori del “survival estremo” nel capitalismo europeo contemporaneo a osservatori entomologici dell’esclusione umana si è compiuta. Bressoniano fino al midollo, l’ultimo lavoro è un meccanismo di spazi concentrazionari, separazione tra sé e società, espulsione e annientamento dell’ospite, il tutto filtrato da uno struggente rapporto fraterno senza ius sanguinis. Davvero un peccato la sufficienza con cui è stato accolto.
MONICA
Andrea Pallaoro rimane un enigma. Cineasta chiaramente orientato al “film da festival”, compone ritratti femminili glaciali e intensi di cui si può dire solo bene. Eppure, anche qui, con due straordinarie protagoniste, la perfezione formale e la struttura da mélo inscatolato in un frigorifero in 4:3, tutto rimane impeccabilmente dentro i binari che ci si aspetta dalle prime inquadrature. Fin dove si potrebbe spingere, se volesse?
DIABOLIK – GINKO ALL’ATTACCO!
Siamo tornati in breve tempo alla goliardia di Coliandro. Tanto il primo episodio aveva lodevolmente cercato la via di un cinema lounge e a strisce orizzontali, tra cocktail culture ed extravaganza noir, quanto questo la butta in caciara. Se si punta sul racconto d’avventura, mancando sensualità e sangue, si va a finire in una terra di nessuno dove le astrazioni postmoderne diventano zavorra. E il budget ridotto si sente tutto (come l’assenza di Marinelli).
IL PRODIGIO
E alla fine questo autore cileno, Sebastián Lelio, che per noi europei superficiali sembra sempre il cugino meno importante di Larraín, andrebbe considerato con maggior attenzione. Specialista in ritratti femminili, dirige una sempre più magnetica Florence Pugh, infermiera, dentro l’irrazionale di un villaggio irlandese del ‘600. Tra miracoli e scetticismo, il tema è l’indagine visiva, con una riflessione non banale sul (futuro) pre-cinema.
SPACCAOSSA
Ficarra e Picone cominciano davvero a stupire. A loro si deve molto del tono malinconicamente sottile di La stranezza, a loro si deve anche parte della scrittura di questo durissimo racconto di emarginati palermitani. Il titolo dice già molto, sia della trama sia del senso profondo dell’esordio di Vincenzo Pirrotta. Un microcosmo di vittime ferite e carnefici ammaccati che corrono come criceti dentro un’esistenza socialmente segnata. Notevole.
THE MENU/BOILING POINT/THE BEAR
Li mettiamo tutti insieme, i tre racconti sugli chef di queste settimane. Si salva solo la serie The Bear, peraltro sopravvalutatissima, ma almeno con una sua idea di legare cibo e dolore, trash food e ricerca del gusto, famiglia in lutto e culture alimentari. Invece Boiling Point maschera con il piano-sequenza la stessa tensione narrativa di una qualsiasi puntata di Masterchef (non è ironico, è proprio così). The Menu, il più sciocco, liquida una discreta intuizione sul sadismo sociale del mito culinario in nome di un grand guignol gestito con troppa indulgenza verso l’horror chic da social media.
CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA
Conoscerlo a memoria non giustifica un’eventuale assenza di fronte al nuovo restauro 4K di Warner Bros. Tutto è diventato classico, in questo capolavoro. Eppure, dentro il perfetto congegno, scorre una vena di modernismo irriducibile, con una spinta al cambiamento (artistico e sociale) molto in anticipo sui tempi. Donen e Kelly sono l’essenza stessa del musical, il resto lo portano in dote il cromatismo ipnotico del reparto foto-scenografico e soprattutto le creazioni di quattro geni: i librettisti-sceneggiatori Betty Comden e Adolph Green, gli autori di canzoni Nacio Herb Brown e Arthur Freed.